Un tale si presenta a Gesù per rivolgergli una domanda al tempo stesso semplice e intrigante. Un ‘tale’, senza ulteriori specificazioni, che rappresenta tutti: giovani (secondo la versione di Matteo) o maturi (secondo Marco), ricchi (secondo Matteo e Marco) o persone con una certa visibilità pubblica (un notabile, secondo Luca). Quel tale rappresenta un po’ ciascuno di noi, alla ricerca di un bene che possa stare al di sopra di tutto, di un bene che non viene consumato dal tempo, che duri appunto per l’eternità, un bene quindi diverso da tutti quelli che possediamo. La richiesta esprime dunque un desiderio limpido, che lascia trasparire un cuore puro e sincero. La domanda è semplice, ma al tempo stesso intrigante, perché la purezza del desiderio deve fare i conti con la capacità di scegliere con sapienza. Una sapienza che viene dall’alto, da invocare da Dio, da stimare più grande del potere, delle ricchezze terrene, della salute, della bellezza, della stessa luce. È quella capacità di discernimento che purtroppo manca a quel tale, troppo legato a criteri umani, troppo asservito alle proprie ricchezze. Questo deve far pensare ciascuno di noi: non sempre un proposito di bene, un sentimento autentico sfociano automaticamente in scelte giuste.
Nel cuore di quel ‘tale’ dell’episodio evangelico il desiderio grande di un bene che promana uno splendore che non tramonta è così radicato che neppure la fedele osservanza dei comandamenti gli dona pace. Intuisce che bisogna compiere un passo ulteriore. Qui Gesù gli porge allora la parola decisiva, che penetra come una spada a doppio taglio: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Come reagire a questa affermazione? Il tale si fece scuro in volto e divenne triste, non vuole rinunciare ai suoi molti beni.
Altre risposte però ha avuto l’invito di Gesù. Pensiamo alla vicenda di sant’Antonio abate. Un giorno, partecipando all’Eucaristia, ascolta questa pagina del vangelo, che diventa per lui la molla che fa scattare una scelta radicale: letteralmente vende tutto quanto possiede, lo dona ai poveri e si ritira nel deserto per una vita di solitudine e di preghiera. Pensiamo alla scelta di radicale povertà di san Francesco d’Assisi. È questa però la sola risposta possibile? Tutti noi quindi siamo con il volto scuro e triste? Nella storia della Chiesa abbiamo avuto anche risposte diverse: Piergiorgio Frassati, appartenente a una ricca famiglia della borghesia torinese, studente universitario, sceglie sì la via dell’attenzione ai poveri, ma non rinuncia a tutti i suoi averi nella modalità di Antonio o di Francesco. Non a tutti quindi è richiesta la stessa modalità di incarnare l’invito di Gesù. A tutti però è richiesto di abbandonare quella ricchezza che è di ostacolo al considerare la persona di Gesù come l’unico bene per la vita eterna.
L’ostacolo non è tanto la quantità delle ricchezze, ma uno stile di vita che va nella direzione del compiacersi dei propri beni, del sentirsi al sicuro in essi, nel sentirsi ‘qualcuno’ solo o nella misura in cui si possiede ‘qualcosa’. Ricco è colui che pensa di piegare tutti alla sua volontà, è chi si ritiene sempre al di sopra degli altri: questo è il vero grande ostacolo al vangelo, per cui diventa impossibile l’ingresso nel Regno come è impossibile a un cammello passare attraverso la cruna di un ago. Il ‘vendere’ quello che si ha si concretizza quindi nel sapersi fare da parte e mettere Dio al centro, si concretizza nel piegare le proprie ginocchia nella preghiera, nella capacità di perdono e di misericordia, nella sensibilità di ascolto delle necessità degli altri. Si concretizza anche nel riconoscersi a propria volta poveri, bisognosi di essere guidati dall’alto, bisognosi di una guida che ci conduca per mano sui sentieri della vita, liberandoci dal fardello delle nostre ricchezze e della nostra presunzione.
Commenta sant’Agostino: «Quel tale se ne andò triste e non lo seguì. Era andato a cercare il maestro buono. Lo aveva interrogato come dottore e non lo ascoltò come maestro. Si allontanò triste, legato ancora alle sue cupidigie, carico del pesante fardello della sua avarizia. Era affaticato, non ce la faceva più; ma anziché seguire colui che voleva liberarlo dal suo pesante fardello, preferì allontanarsi e abbandonarlo».
PREGHIERA - L’intenzione era buona: «ricevere in eredità la vita eterna», e il suo comportamento risultava del tutto ineccepibile. Ma tu gli hai chiesto, Gesù, qualcosa che ha bloccato sul nascere ogni entusiasmo, ogni velleità: «Vendi quello che hai e dallo ai poveri. Poi vieni e seguimi!». Così la sua disponibilità si è mutata in tristezza, il suo volto aperto e limpido si è improvvisamente oscurato. La ragione ci viene subito svelata: possedeva molti beni.
Ecco perché le tue parole, Gesù, rivolte a tutti i discepoli, diventano franche e senza equivoci: la ricchezza costituisce un serio pericolo per chi vuole entrare nel Regno. Da strumento, infatti, finisce spesso col diventare un padrone. Assoggetta il cuore e lo rende incapace di vivere un’autentica libertà, costruisce una prigione dorata dalla quale non si riesce ad uscire se non a prezzo di gesti colmi di determinazione e soprattutto impedisce di vedere coloro che attendono una condivisione generosa.
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