lunedì 8 ottobre 2012

437 - “È LECITO RIPUDIARE LA PROPRIA MOGLIE?”(seconda parte)

Una settimana di riflessione sul Matrimonio

Terzo giorno

Il modo in cui Gesù interpreta le parole di Mosè e della Genesi ripropone il grande interrogativo sotteso a tutto il vangelo di Marco: Chi è costui? Chi è costui che reinterpreta la Legge sul tema del matrimonio? Chi è costui che riafferma il progetto originario di Dio a una umanità dal cuore indurito?

L’insegnamento di Gesù restituisce alla donna tutta la sua dignità, ponendo la sua persona alla pari di quella dell’uomo. L’esigenza di indissolubilità che viene sottolineata, può essere compresa solo nella fede e alla luce del mistero di Cristo. La realtà del matrimonio cristiano può essere vissuta solo nel dono totale ed esclusivo dell’uno all’altra, con la vittoria della carità sugli egoismi, a imitazione del dono di sé che Cristo ha fatto alla Chiesa e all’umanità (cfr. Ef 5,25-33).

È questo il senso della collocazione dell’insegnamento sul matrimonio all’interno del cammino di Gesù verso Gerusalemme. Si tratta di un cammino pieno di incomprensioni (non solo con i capi del popolo, ma anche con i discepoli), e tuttavia Gesù continua a stare con i suoi e non smette di amare, fino al dono di sé. Il camminare dietro alla croce accettando anche la dimensione «crocifiggente» dell’amore, libera l’uomo da se stesso e lo rende capace di fedeltà disinteressata. L’uomo e la donna sono chiamati a entrare nella loro alleanza reciproca con piena responsabilità e giocandosi in essa in maniera definitiva; e perché sia definitiva occorre la totalità dell’impegno, fin dall’inizio. I fallimenti dell’amore non trovano il loro rimedio nel divorzio, ma in una adesione ancora più piena al cammino di sequela di Cristo.

La durezza di questo insegnamento si rende evidente nel fatto che i discepoli, quando sono in casa, tornano a interrogare il Maestro (v. 10). La sua risposta conferma l’insegnamento precedente (v. 11) aggiungendo però un approfondimento – probabilmente frutto dell’adattamento della comunità cristiana all’ambiente greco-romano: non solo l’uomo, ma anche la donna potrebbe prendere l’iniziativa del divorzio (v. 12). Questa perfetta reciprocità non fa che sottolineare la responsabilità reciproca cui sono chiamati i coniugi cristiani (vv. 11-12).

Il brano del vangelo si chiude con l’episodio di Gesù che benedice i bambini (vv. 13-16). L’evangelista coglie ancora una volta l’occasione per sottolineare la sensibilità umana di Gesù, che prende affettuosamente in braccio i bambini. Sempre mediante questo episodio viene ripreso, sotto altro aspetto, il tema della rinuncia di sé come condizione per accogliere il regno e per appartenervi. L’immagine del bambino simboleggia l’atteggiamento che deve avere il vero discepolo. Non si tratta di ripiegarsi nell’infantilismo, ma di riconoscere la propria povertà e debolezza davanti a Dio. Questo atteggiamento libera l’uomo dalla pretesa e dalla presunzione di acquistare il regno (= la salvezza) con le sole proprie forze, e lo dispone a far propria la semplicità di un bambino che non ha niente da dare in cambio.

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