mercoledì 24 novembre 2010

95 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Sesto giorno: Per diventare l’Amato … essere Spezzato
L’“essere spezzati” è una esperienza davvero nostra. Di nessun altro. E’ tanto unica quanto il nostro “essere scelti” e il nostro “essere benedetti”. Il modo in cui siamo spezzati è una espressione della nostra individualità, tanto quanto il modo in cui siano scelti e benedetti. Sì, come coloro che sono Amati, anche se può suonare spaventoso, siamo chiamati a rivendicare il nostro unico “essere spezzati”.
Devo provare adesso ad avvicinarmi un po’ di più a questa nostra esperienza. Come ho appena detto, è un’esperienza del tutto personale e nella società in cui tu ed io viviamo, l’“essere spezzati” è generalmente una esperienza intima – è lo spezzarsi del cuore. Sebbene molti soffrano per invalidità fisica o psichica e sebbene ci sia molta povertà e molte persone siano senza tetto e soffrano per non poter soddisfare i loro bisogni primari, la sofferenza della quale io sono di giorno in giorno più consapevole, è la sofferenza del cuore spezzato. Vedo sempre di più l’immensa sofferenza provocata da relazioni spezzate, tra mariti e mogli, genitori e figli, innamorati, amici e colleghi. Nel mondo occidentale, la sofferenza che sembra essere la più dolorosa, è quella del sentirsi rifiutati, ignorati, disprezzati e lasciati soli. Nella mia comunità, ci sono molti uomini e donne gravemente handicappati, ma la più grande sorgente di sofferenza non è l’handicap in quanto tale, ma la sensazione di essere inutili, indegni, incompresi e non amati. E’ molto più facile accettare l’incapacità a parlare, camminare o nutrirsi da soli, che accettare l’incapacità ad avere un valore speciale per un’altra persona. Noi esseri umani possiamo soffrire immense privazioni con grande forza, ma quando sentiamo di non avere più qualcosa da offrire agli altri, abbandoniamo presto la nostra presa sulla vita.
Come possiamo rispondere a questa fragilità? La prima risposta alla nostra fragilità è allora affrontarla direttamente e favorirla. Questo può sembrare del tutto innaturale. La nostra prima, più spontanea risposta alla sofferenza è quella di evitarla, tenerla a distanza, ignorarla, aggirarla o negarla. La sofferenza, sia fisica, che mentale o emotiva è quasi sempre sperimentata come una sgradita intrusione nelle nostre vite, qualcosa che non dovrebbe esserci. E’ difficile, se non impossibile, vedere qualcosa di positivo nella sofferenza; deve essere allontanata a tutti i costi. Se questo è l’istintivo atteggiamento verso la nostra fragilità, non c’è da stupirsi se favorirla può sembrare a prima vista masochistico. Tuttavia, la mia personale esperienza di sofferenza mi ha insegnato che il primo passo verso la salute non è un passo lontano dal dolore, ma un passo verso il dolore. Quando infatti il nostro “essere spezzati” è proprio come una intima parte del nostro essere, così come il nostro “essere scelti” e il nostro “essere benedetti”, dobbiamo aver l’ardire di domare la nostra paura e di familiarizzare con essa. Sì, dobbiamo trovare il coraggio di abbracciare il nostro “essere spezzati”, fare del nostro più temuto nemico un amico e rivendicarlo come un compagno intimo. Sono convinto che spesso la guarigione è difficile perché non vogliamo conoscere il dolore. Quando, nella nostra sofferenza, abbiamo bisogno di guida, deve essere innanzi tutto una guida che ci conduca più vicino al nostro dolore, e ci faccia capire che non dobbiamo evitarlo, ma che possiamo favorirlo.
La seconda risposta al nostro “essere spezzati” è di porlo sotto la benedizione. Per me porre il nostro “essere spezzati” sotto benedizione è una condizione a priori per favorirlo. Infatti, se è così spaventoso da affrontare è perché lo viviamo sotto la maledizione. Vivere il nostro “essere spezzati” sotto la maledizione significa che sperimentiamo il dolore come una conferma dei sentimenti negativi che abbiamo verso noi stessi. E’ come dire: “Ho sempre sospettato di essere inutile e indegno e adesso ne sono sicuro a causa di ciò che mi sta succedendo”. C’è sempre in noi qualcosa che ricerca una spiegazione per ciò che accade nelle nostre vite e, se abbiamo già ceduto alla tentazione di un rifiuto di noi stessi, allora ogni forma di sventura tende ad acuirlo.
La grande chiamata spirituale degli Amati figli di Dio sta nell’allontanare il loro “essere spezzati” dall’ombra della maledizione e di metterlo sotto la luce della benedizione. Non è così facile come può sembrare. Attorno a noi i poteri dell’oscurità sono forti e il nostro mondo trova più facile manipolare le persone che rifiutano se stesse, che quelle che si accettano. Ma quando restiamo attentamente all’ascolto della voce che ci chiama Amati, vivere con il nostro “essere spezzati” diventa possibile, non come una conferma della nostra paura di essere indegni, ma come una opportunità di purificare e approfondire la benedizione che è su di noi. Il dolore fisico, mentale o emotivo che vive sotto la benedizione è sperimentato in modo radicalmente diverso dal dolore fisico, mentale o emotivo che vive sotto la maledizione. Anche un piccolo fardello, se percepito come un segno della nostra indegnità, può condurci ad una profonda depressione, e anche al suicidio. Invece anche i fardelli pesanti e grandi diventano leggeri e facili da portare quando sono vissuti nella luce della benedizione. Quello che sembrava insopportabile diventa una sfida. Quello che sembrava un motivo di depressione diventa una sorgente di purificazione. Quello che sembra una punizione, diventa una garbata correzione. Quello che sembrava un rifiuto, diventa un modo per una più profonda comunione.
Così il grande compito diventa quello di consentire alla benedizione di raggiungerci nel nostro “essere spezzati”.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

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