sabato 22 settembre 2012

430 - AI PICCOLI HAI RIVELATO IL REGNO DEI CIELI - 23 Settembre 2012 – XXVª Domenica Tempo ordinario

(Sapienza 2,12.17-20 Giacomo 3,16-4,3 Marco 9,30-37)

Gesù sta parlando di sofferenza e di morte, i discepoli invece discutono tra loro su chi sarebbe stato il più grande nel regno futuro. Evidentemente avevano capito poco o nulla del discorso di Gesù. Dopo che sono entrati in casa, Gesù chiede loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?» (v. 33), essi però non vogliono rispondere. Gesù, conoscendo i loro pensieri, offre il suo insegnamento accompagnandolo con un gesto simbolico: chiama un bambino e lo pone in mezzo a loro (v. 36). Davanti a quel bambino si sentono imbarazzati e anche un po’ buffi, ma questo contrasto serve a Gesù per trasmettere un messaggio importante. Posando la mano sulla spalla di quel bambino, Gesù dice: se ci tenete tanto a diventare grandi agli occhi di Dio e a occupare i primi posti nel Regno, dovete diventare come questo bambino. Naturalmente Gesù non intende dire agli apostoli che devono ripercorre all’indietro i loro anni, chiede invece di acquisire una mentalità semplice come quella dei bambini. Si tratta di abbandonare il desiderio di primeggiare che li sta prendendo, si tratta di non essere ambiziosi e di non voler stare un gradino al di sopra degli altri. Il bambino dipende docilmente e spesso totalmente dagli altri. Anche questo punto di vista diventa esemplare per i discepoli, perché nel loro rapporto con Dio devono acquisire un atteggiamento di dipendenza docile e spontanea per lasciarsi condurre per mano da lui. Gesù conclude le sue parole dicendo: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (v. 37). Questo immedesimarsi di Gesù nel bambino ribadisce ancora una volta l’efficacia del modello proposto: il bambino, proprio perché indifeso, docile e incapace di ambizione, diventa immagine di Gesù che, pur essendo Dio, si è fatto piccolo, umile, per incontrare l’uomo.

Marco mette volutamente in contrasto il cammino dei discepoli «lungo la via» (cfr. v. 30) e il loro ritrovarsi «in casa» con Gesù (cfr. v. 33). Lungo la via discutono su chi sia il più grande, il loro camminare è ancora segnato da interessi mondani. È necessario raccogliersi in casa con lui e lì lasciarsi istruire. La «strada» diventa immagine di un modo di essere e pensare lontano da quello del Maestro, mentre la «casa» simboleggia il momento in cui ci si mette alla sua scuola. Quando sono in casa, infatti, Gesù si siede e imparte il suo insegnamento. Da questa «cattedra» egli offre una lezione sullo stile di vita del cristiano: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (v. 35). Non è neppure un caso che i destinatari di questa istruzione non siano più i discepoli in generale, come era finora, ma i Dodici. Essi sono i capi nella comunità di Gesù, le autorità riconosciute, perciò sono proprio loro a dover essere istruiti sullo stile di vita del vero discepolo. La Chiesa per Marco è fatta di primi e di ultimi, ma i primi e gli ultimi non sono quelli che appaiono più grandi o più piccoli, ma coloro che sono o non sono come Gesù, servo che dona la vita.

Ricchezza, potere, piacere, sono le cose che molti, oggi come ieri, mettono in cima alla scala dei valori, e per conseguirle sono disposti a sacrificare tutto il resto. Gesù rovescia questa scala di valori, e pone al vertice l’umiltà, la povertà, la croce. La grandezza cristiana consiste nel mettere se stessi al servizio degli altri. «Servire» è il verbo che sintetizza tutta la vita di Gesù: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45), e che deve caratterizzare la vita del cristiano. Questo «servire» non ha limiti, non dice mai basta. La vera grandezza davanti a Dio non dipende dalla riuscita materiale, dallo spessore del proprio portafoglio, da un conto in banca con parecchi «zero», ma nel mettere la propria vita a servizio degli altri. Purtroppo per molti «riuscire» nella vita significa far soldi a palate, salire sul podio degli onori, raccogliere a piene mani le gioie della vita. Contro questa mentalità «terra terra» Gesù proclama che non esiste grandezza se non viene dal dono di sé disinteressato e generoso, dal servizio verso gli altri, soprattutto dei più indifesi e disprezzati. Perciò chi accoglie un «bambino» (= un piccolo, un povero) accoglie Gesù, anzi accoglie il Padre.

PREGHIERA - Potrei anche tentare, Gesù, di raggiungere gli ultimi posti, di diventare il servo di tutti, di consacrare energie e risorse alla loro riuscita, al loro bene. Non sarebbe facile, lo ammetto: si tratterebbe di morire al mio orgoglio, alla mia superbia, al bisogno insano di emergere, di primeggiare, di impormi all’attenzione e alla stima di tutti.

Ma se poi veramente si dimenticano di me, se poi finiscono col prendermi come il debole di turno, l’ingenuo e il buono che riescono a sfruttare per il loro successo? Ecco quello che temo più di tutto: che si dimentichino di me, delle mie doti, delle mie capacità, che non mi circondino più del loro apprezzamento, della loro considerazione, del loro consenso.

Mi metterei anch’io a servizio con contratto a tempo determinato, se avessi la sicurezza di guadagnarmi uno scatto consistente di carriera. E invece tu mi chiedi di farlo a tempo pieno, fino in fondo, senza limiti, sicuro che tu non mi abbandonerai.

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