sabato 8 settembre 2012

425 - VEGLIARE DAL PROPRIO CUORE

Per una pausa spirituale durante la XXIIª Settimana del Tempo ordinario

L’invito è perentorio. Vigilare sul proprio cuore è la condizione essenziale per realizzare la propria vocazione umana, inscindibile dalla comunità in cui si è inseriti e dalla più ampia comunità degli uomini. Oggi si parla, con significato analogo, di “cura dell’anima” o di vita spirituale che si alimenta di contemplazione e di silenzio. Nella tradizione biblica si parla piuttosto di cuore (kardía) o di reni, per mettere in evidenza le diverse dimensioni dell’umano: quella esterna che si espone alla percezione dell’altro e quella interna che sfugge spesso all’occhio dell’uomo, ma non a quello penetrante di Dio. Quello che è interno dà valore all’esterno, nella misura della corrispondenza tra le due dimensioni. Se non esiste questa corrispondenza, tutto appare falso e non autentico. Si può celare il proprio mondo interiore allo sguardo di tanti, compresi quelli che ci sono più vicini, con cui condividiamo la quotidianità dell’esistenza, ma non lo si può nascondere a Dio che è per eccellenza il conoscitore del cuore umano.
Il cuore è il luogo dei sentimenti, dei pensieri, dei progetti e quindi delle decisioni in cui ne va di noi stessi. I progetti operativi incidono nelle relazioni dirette e nelle strutture che vengono costruite insieme. Le istituzioni infatti possono essere capaci di favorire le relazioni tra le persone o possono essere estremamente oppressive, avvolgendo persone, cose, la natura stessa dentro la logica del dominio. Non è un caso che anche nei documenti ecclesiali più impegnativi, da qualche anno circoli l’espressione «strutture di peccato» e che siano dichiarate effetto di un’attenzione inadeguata, o addirittura di opposizione alla dimensione morale, che conduce inevitabilmente alla disumanizzazione della vita associata. La coscienza interiore (il cuore) è criterio morale di azione e bisogna seguire quanto essa detta. È il significato della parola synéidēsis, che Paolo usa spesso nelle sue lettere.
Gesù manifesta una straordinaria coscienza di sé. Convinto com’era di possedere il potere di perdonare i peccati, si comporta di conseguenza richiedendo un’adesione totale ed esclusiva alla sua persona. Si presenta come una presenza decisiva sui cammini dell’umanità e della storia, e quale centro del progetto salvifico di Dio, eppure ha dovuto lottare per preservare la sua identità, il suo cuore, dalle pressioni dell’ambiente, dalle attese messianiche trionfalistiche e per tener fede al progetto divino su di lui, caratterizzato da un messianismo povero e addirittura inefficace agli occhi degli uomini, a cominciare da quelli dei suoi discepoli.
Le tentazioni diaboliche che deve affrontare all’inizio della sua missione, dopo aver ricevuto nel battesimo l’abilitazione carismatica alla sua missione, comportano una lotta drammatica e spossante nel suo cuore, che ha come teatro il deserto, il luogo della prova e della verità. Ancora più drammatica è la lotta che si svolge nel suo cuore lacerato dal desiderio di sfuggire alla morte violenta e insieme dalla spinta a fare la volontà del padre.Un conflitto interiore da cui emerge la sofferta decisione di rimanere fedele al progetto divino. Il cuore, dunque, ancora una volta come luogo della decisione: decisione di essere per la vita, pur sapendo che ciò comporta la morte del corpo, anche se essa non è definitiva.
Se, come si è detto all’inizio, il cuore nel senso biblico può essere considerato sinonimo di vita spirituale o di “cura dell’anima”, esso esige la contemplazione e il silenzio. Più che mai necessari nel mondo della comunicazione ininterrotta e della piazza (soprattutto mediatica) ribollente di voci contrastanti e devianti; nel mondo della creazione di bisogni indotti, che suscitano una continua tensione verso l’acquisizione di beni. Un trafelato presente in cui tutto è affidato all’esperienza del momento, con la perdita di senso e lo svuotamento dei criteri di rilevanza, che permettono di distinguere l’essenziale dal superfluo, il durevole dall’effimero.
Si tratta di Vite di corsa, per usare il titolo di un fortunato pamphlet di Zygmunt Bauman: gli individui sono immersi in un fiume inarrestabile di informazioni, di parole, di sollecitazioni, di seduzioni che sradicano la persona da sé, mantenendola in un’esteriorità largamente manipolata. «L’essere proprio di ciascuno è esteriorizzato, dominato da forze su cui non ha alcuna presa. Dipendenza che opera come una droga poiché diventa così vitale che è impossibile farne a meno» (Paul Valadier). Il filosofo tedesco Axel Honnet – allievo di Jürgen Habermas – parla, a questo proposito, di «patologie sociali gravi e destrutturanti», perché tendono a far disprezzare ogni forma di solitudine, senza la quale l’essere umano perde la propria interiorità e il proprio centro di gravità.
Senza momenti di solitudine, la persona è invasa, occupata, spossessata di se stessa, subisce un processo di ‘reificazione’, di costante inerzia spirituale che può essere disattivata solo nel silenzio, nella contemplazione, nel nutrimento della meditazione, nella frequentazione delle Scritture, in assoluta gratuità, senza attendersi vantaggi. Non si tratta solo di sfuggire dal rumore che ci circonda, ma di affrontare il rumore che ciascuno ha dentro di sé e di fare i conti con esso, di liberarsi da tutto ciò che preme dentro e distrae e obbliga a quel divertissement di cui parla Pascal, per aprirsi ed essere disponibili all’ascolto di Dio e del suo silenzio.
Silenzio che è necessario, perché il Dio cui ci si apre non è a nostra disposizione, non è obbligato a risponderci: va cercato e invocato nel silenzio interiore, nell’ascolto disponibile, nella rinuncia ad una ricerca troppo interessata. I mistici medievali parlano di ‘svuotamento’ e di ‘abbandono’ come premessa per entrare in relazione diretta con Dio. Un Dio che non risponde a comando. Con il suo silenzio ci aiuta a immergerci in una notte che purifica il nostro cuore, condizione dell’accoglienza di una Parola che si offre nella brezza leggera, nella presenza discreta, vissuta nel segreto, appunto, del nostro cuore.

 

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