sabato 2 febbraio 2013

465 - LA CARITÀ NON AVRÀ MAI FINE - 03 Febbraio 2013 – IVª Domenica del Tempo ordinario

(Geremia 1,4-5.17-19 1ª Corinti 12,31-13,13 Luca 4,21-30)
“Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime.* Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. **La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. ***La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!”
È un brano che si sente molto spesso ai matrimoni … sarebbe bene impararlo a memoria per confrontarsi spesso con questa Parola che Dio ci dona … e sarebbe bene anche farne oggetto di preghiera e di riflessione in famiglia.
Paolo invita la comunità ad entrare nell’ottica di Cristo, assumendo il suo modo di vivere, di pensare ed agire (Fil 2,5). Il testo può essere organizzato in tre parti: 1) vv. 1-3: necessità della carità 2) vv. 4-7: bellezza della carità; 3) vv. 8-13: l’eternità della carità.
Vv. 1-3: in un crescendo Paolo focalizza l’attenzione dei lettori sulla ‘via per eccellenza’, dandole un nome: carità. Utilizzando i carismi più ambiti, perché più appariscenti, Paolo afferma la loro nullità se non scaturiscono dall’amore. Per enfatizzare il proprio pensiero aggiunge che persino il martirio, l’atto estremo di donare la vita, non ha nessun valore se non è dettato dall’amore. Notiamo che Paolo non qualifica l’amore – di Cristo, del Padre – ma lo considera una realtà assoluta. Utilizzando una bella espressione di Barbaglio, la carità è introdotta «come la grandezza che decide dell’essere e non-essere della persona».
Vv. 4-7: Paolo definisce la carità attraverso 15 verbi, in un’alternanza di termini positivi (2 volte), negativi (8 volte) e ancora positivi (5 volte). La carità non è dunque un atteggiamento passivo (non fare), ma una scelta costante, un discernimento continuo. Leggendo il testo possiamo intuire che carità per Paolo non è ‘qualcosa’, ma ‘qualcuno’: Cristo. Vivere la carità è dunque permettere a Cristo di vivere in noi: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Per mettere in rilievo questa realtà, vorrei accennare soltanto ai primi due tratti positivi: carità come ‘magnanima’ e ‘benevola’. Il primo termine indica uno sguardo aperto, libero, che si apre nell’accoglienza dell’altro senza pregiudizi: è lo sguardo che coglie nell’altro il suo essere ‘immagine e somiglianza di Dio’, anche se offuscato da un cammino di peccato. Per questo la ‘magnanimità’ produce ‘benevolenza’, suscita il ‘bene’ nell’altro. ‘Magnanimità e benevolenza’ sono seguite da un elenco introdotto negazione ‘non’ – «non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio…» – dove Paolo presenta ciò che è incompatibile con la carità perché appartiene ad una modalità di vita «carnale», estranea a coloro che essendo «di Cristo Gesù» sono chiamati a «camminare nello Spirito» (Gal 5,16-24). L’ultimo versetto di questa sezione è contrassegnato dall’utilizzo del termine ‘tutto’: «tutto sostiene, in tutto ha fiducia, tutto spera, tutto sopporta»: nulla può fermare l’amore perché come ricorda il Cantico, l’amore è più forte della morte (8,6).
Vv. 8-13: Dopo aver dimostrato che la carità definisce l’essere e lo stile di Dio, Paolo giunge alla conclusione che essa non avrà mai fine. Tutti i carismi funzionali alla missione scompariranno nel tempo della pienezza. Soltanto la carità permarrà, perché chi ama percepisce la realtà nella prospettiva di Dio. Nell’ultimo versetto, infine, l’apostolo afferma la priorità dell’amore persino rispetto alle altre due ‘virtù teologali’, la fede e la speranza: nella contemplazione faccia a faccia con Dio, infatti, la fede si trasformerà in visione e la speranza in certezza. Soltanto l’amore rimarrà perché Dio è, in essenza, carità (1 Gv 4,8).

PREGHIERA
Porti un Vangelo, un annuncio di gioia, di guarigione, di liberazione, di speranza e allora, Gesù, perché ti rifiutano, perché ti cacciano dal loro paese? Hai già offerto dei segni, ne parlano tutti i villaggi vicini, e loro stessi riconoscono le parole di grazia che escono dalla tua bocca, e allora perché ti riservano un trattamento così duro?
Forse perché non possono accettare che Dio si serva di uno di cui credono di sapere quasi tutto. Forse perché pretendono che Dio si comporti secondo le loro attese e faccia arrivare qualcuno che appartiene ad una famiglia nobile o alla casta sacerdotale, o comunque alla cerchia dei potenti…
E invece il Messia sei proprio tu, tu che hai passato trent’anni in mezzo a loro, senza segnalare la tua presenza con fatti straordinari, con imprese mirabolanti, tu che conosci – come ognuno di essi – la dura legge del lavoro, le avversità e la penuria, tu che hai condiviso con loro la preghiera nella sinagoga, ma anche la fatica quotidiana, le gioie e le speranze, i lutti e i dolori. Ed è per questo, paradossalmente, che ti rifiutano perché sei vicino a loro, uno di loro.

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