sabato 2 febbraio 2013

461 - IL VINO DELLE NOZZE DI CANA - 20 Gennaio 2013 – IIª Domenica del Tempo ordinario

(Isaia 62,1\-5 1ªCorinti 12,4-11 Giovanni 2,1-11)

Nel linguaggio profetico il vino esalta l’ebbrezza dell’incontro sponsale (Os 2,2-24; Is 62,5.8.9). Un rilievo particolare è dato dall’esultanza radiosa dei tempi escatologici: quel giorno saranno allietati da un vino straordinariamente abbondante (Am 9,13-14; Ger 31,12; Gl 2,19.22.24), di qualità sopraffina (Os 14,8; Is 25,6; Zc 9,17) e di intensa gratuità (Is 55,1). Il Cantico dei Cantici utilizza ripetutamente la metafora del vino per dichiarare l’attrazione che l’Amato e l’Amata nutrono l’uno per l’altra (Ct 1,2.4; 2,4; 4,10; 5,1; 7,3.10; 8,2). Poiché Gesù offre una quantità straordinaria di vino (più di 500 litri) nel contesto di un banchetto nuziale, comprendiamo che in Lui abbiamo l’avvento dei tempi messianici: colui che dà il vino è lo sposo-messia. Il vino rappresenta dunque il dono messianico per eccellenza, identificato con Gesù stesso: unicamente il suo vino è capace di purificare e di salvare. In altri termini, il vino offerto a Cana simboleggia la sua parola rivelatrice, definitiva, che porta a compimento la legge antica. Per questo le sei giare sono riempite «fino all’orlo».
A riprova di questa identificazione è interessante notare come nel testo la bontà del vino è descritta dall’aggettivo kalós, ‘buono/bello’, il medesimo utilizzato per descrivere la qualità di Gesù, buon pastore che realizza tutte le attese di Dio (10,1). L’abbondanza ed eccellenza del vino esprimono dunque l’abbondanza ed eccellenza del dono che Gesù è; il fatto che quel vino arrivi soltanto alla fine del banchetto svela che Gesù è veramente la «pienezza della grazia e della verità» (1,14). Gesù, la Parola fatta Carne, si gusta nell’acqua fatta vino. Quando ‘l’ora’ di Gesù si compirà nella sua elevazione sulla croce, quel vino avrà il sapore della sua vita immolata per la nostra salvezza. La seconda parte del v. 11 indica la ragione del segno: «i suoi discepoli credettero in Lui». Mi sembra opportuno approfondire il significato di questo verbo che ricorre ben 98 volte nel quarto vangelo, dove è stranamente assente il sostantivo «fede». ‘Credere’ per Giovanni non è uno stato, ma un processo dinamico. L’associazione costante con la preposizione eis suggerisce la dinamicità della relazione: credere è ‘rimanere’ nella relazione con una Parola che ci incontra, ci mette in discussione, si propone alla nostra accoglienza ed alla quale siamo chiamati a rispondere in un cammino di sequela perseverante. In questa prospettiva comprendiamo il significato della presenza di Maria: essa non si sovrappone al figlio; è disposta a lasciargli il campo. Non conosce la risposta, ma continua a camminare nella fede, educando alla fiducia incondizionata nei confronti di Gesù. Per questo, nel v. 12 è ribadita la sua presenza quando i discepoli muovono i primi passi seguendo il Cristo. La precisazione del narratore, che essi rimasero a Cafarnao «pochi giorni», evita la chiusura della narrazione. Essa rimane sospesa verso un compimento che sarà offerto al lettore ai piedi della croce, quando Maria ritornerà al fianco dei discepoli, per essere offerta dal Figlio come Madre e custode dei credenti.
A Cana, dunque, Gesù crea il popolo dei suoi discepoli: essi sono la primizia della comunità messianica fondata nella relazione con Lui. Le parole della Madre riecheggiano le parole di Israele, quando ai piedi del monte Sinai accolse il dono della Legge: «Quanto il Signore ha detto noi lo faremo» (Es 19,8; 24,3.7). Pronunciando il suo sì Israele diviene la sposa del suo Dio: «Io stesi il lembo del mio mantello su di te…, giurai alleanza con te… e divenisti mia» (Ez 16,8). A Cana, la madre invita anche noi, comunità dei discepoli del Risorto, a percorrere la medesima strada, per divenire amici dello sposo (3,29) ed essere introdotti alla mensa nuziale (Ap 19,7-9).

PREGHIERA
Nonostante i nostri preparativi, nonostante i nostri calcoli e le nostre sagge previsioni, accade inevitabilmente, Gesù, che venga a mancare qualcosa di essenziale. In quel frangente non ci resta che rivolgerci a te, Gesù, perché da soli non potremmo far fronte alle difficoltà. Le nostre energie hanno un termine e le nostre risorse si esauriscono. I nostri progetti, affidati solamente alle nostre capacità, sono votati al fallimento.
Anche quel giorno, a Cana, la festa di nozze stava per finire e in modo piuttosto miserevole. Com’è possibile nutrire l’allegria con bicchieri colmi d’acqua? Com’è possibile continuare, privi di quel segno di benedizione, di fecondità, di gioia, rappresentato dal vino?
Il tuo intervento, Gesù, permette al banchetto di continuare, ma non in un qualche modo, con un vinello di recupero. Sì, è sempre così, Gesù, tu ci offri il vino buono, il vino migliore, proprio quando pensiamo che tutto stia per finire male: così ci dimostri che vale la pena fidarsi interamente di te.

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