Per una pausa spirituale durante IIIª Settimana del Tempo ordinario
Gesù ha detto che è venuto a “proclamare ai prigionieri la liberazione” … e questo nel l’“oggi di Dio”: Questa liberazione passa prima di tutto nel cuore di tutti noi. Una persona è libera prima di tutto se lo è nel nostro cuore e nei nostri giudizi. Spero che le storie che seguono abbia a renderci più attenti nei confronti dei carcerati.
Marco P. - Leggo nella storia recente e mi incontro costantemente con due notizie: l’affollamento delle carceri italiane e l’alto numero di suicidi nelle medesime: nel 2011 i suicidi sono stati 186, dal 2000 al 2011 sono 1.960 i detenuti che si sono suicidati, sempre persone umane. È un dato allarmante, una vera e propria strage silenziosa. Nel 2000 ebbi la grazia di prestare servizio presso il carcere “Due Palazzi” di Padova, nella sezione Alta Sicurezza: ergastolani dunque, per la maggior parte. Incontrai un centinaio di persone, ma solo con alcune scattò il percorso di riabilitazione e tutto grazie allo stile di amicizia: presentarsi sorridendo, mostrarsi accoglienti, ascoltare tutto ciò che avevano da dire, non far trapelare mai un giudizio. I primi colloqui avevano uno stampo comune: incarcerati ingiustamente, per coprire qualcuno, l’avvocato si era sbagliato… Poi, solo con alcuni, pochi, scattava qualcosa di diverso: la fiducia li portava ad aprirsi, a confidare la verità, a chiedere perdono. Spesso era il pensiero dei figli a mettere in movimento queste persone, il desiderio che almeno loro potessero vivere in modo diverso. Ricordo in particolare Marco P., che aveva sparato al padre con il fucile da caccia, mentre questi abusava della figlia. Poi venne la droga, o forse c’era già. Marco era in dubbio se iscriversi al corso per avere la licenza media, ma era svogliato, demotivato. Lo attirava il fatto che avrebbe potuto godere di alcuni sconti pena. Lo incoraggiai, ma aveva avuto un’esperienza umiliante con la scuola: alle elementari, la maestra lo aveva ingabbiato in un doppio giro di banchi perché non disturbasse gli altri alunni. Alla fine Marco accettò, si iscrisse al corso e quello fu l’inizio della sua rinascita. Si compiaceva di essere il migliore della classe, composta da cinque allievi, lui era l’unico italiano, gli altri non sapevano né leggere né scrivere nella nostra lingua, figuriamoci studiare! Era una vittoria facile, ma per Marco era importante recuperare la stima di sé. Con gli anni prese anche il diploma di ragioneria e un corso di programmatore per computers gli permise di trovare lavoro a Mestre. Ora gode di un regime di semilibertà. È rinato. La verità lo ha fatto libero.
Cesare deve morire - Nel febbraio 2011 un film italiano, Cesare non deve morire, dei Fratelli Taviani ha trionfato al Festival cinematografico di Berlino, vincendo l’Orso d’oro. Il film è girato quasi per intero nel carcere di Rebibbia, dove da un decennio alcuni detenuti recitano Shakespeare, Dante ecc. Questo percorso nell’arte li aiuta a ritrovare la stima e ad entrare in contatto con la bellezza. Attraverso il testo teatrale esprimono se stessi, ritrovano la verità, la rielaborano e la integrano nella loro vita. Nel film dei Taviani il testo che la compagnia teatrale deve rappresentare è il Giulio Cesare di Shakespeare, dove vi sono la congiura, l’omicidio, il male. Chi recita il personaggio di Bruto deve ‘ripetere’ e rivivere ciò che ha compiuto nella vita. Tutto ciò aiuta a prendere contatto con se stessi e con la propria storia attraverso il linguaggio dell’arte. Dice in un intervista Salvatore Striano, ‘Sasà’, in carcere a Rebibbia per otto anni, protagonista del film dei Taviani e ora attore di successo: «Ho esitato un momento, ma lavorare con i Fratelli Taviani era un’occasione troppo straordinaria. Come in un sogno mi sono ritrovato Bruto su quello strano set, ho rivisto antichi compagni di pena, ho ripetuto con loro parole ed emozioni di un testo che pareva scritto sulla pelle di tutti noi. Dove si parla di amicizia e di odio, di potere e di libertà, di tradimento, di complotti e di omicidi… La famosa frase di Antonio davanti al cadavere di Cesare, “Bruto è un uomo d’onore”, nel braccio di Alta Sicurezza di Rebibbia affollato da cosiddetti “uomini d’onore”, risuona ben diversamente». Oggi ‘Sasà’ è attore affermato, che ha lavorato anche in Gomorra di Matteo Garrone e in diversi serial televisivi. La sua vita è rinata.
Ciro - L’amore buio è un film di Antonio Capuano del 2010, vi si narrano le storie di Ciro e di Irene, due adolescenti napoletani: lei appartiene al ceto borghese della città, lui a quello della camorra. Ciro, dopo aver bevuto, ferma Irene appena scesa dall’auto del fidanzatino e con i compagni compie su di lei violenza. Incarcerato a Nisida, Ciro inizia a chiudersi e a sentirsi diverso dagli altri, la sua rabbia la esprime con gesti violenti, ma poi attraverso alcune lettere e poesie (una scritta anche ad Irene), riesce a rielaborare il proprio gesto e a redimersi. L’arte, la bellezza, la poesia sono anche in questo film, che andrebbe proiettato in tutti i nostri oratori, una possibilità di redenzione. Ciro, figlio del suo tempo, troverà il coraggio di “annunciare” il suo cambiamento in una poesia recitata sul palco del carcere, poesia che egli stesso trasforma in Rap per renderla accessibile al suo linguaggio, che è anche quello degli altri ragazzi. Nel film di Antonio Capuano compare anche don Luigi Merola, sacerdote che ha girato più di 900 scuole in Italia a raccontare Napoli, i giovani e la camorra. Con alcune associazioni si occupa di prevenzione del mondo giovanile nei quartieri a rischio di Napoli e dintorni. Dal 1997 gira con la scorta perché la sua vita è in pericolo.
C’è una liberazione in atto oggi? C’è ed è operata da quei sacerdoti, da quei cristiani che hanno preso sul serio il discorso di Gesù nella sinagoga di Nazareth, sapendo che quelle parole chiedono di essere incarnate in vite concrete spese per gli altri, proprio come ha fatto Gesù dando vita alla parola del profeta Isaia.
Gesù ha detto che è venuto a “proclamare ai prigionieri la liberazione” … e questo nel l’“oggi di Dio”: Questa liberazione passa prima di tutto nel cuore di tutti noi. Una persona è libera prima di tutto se lo è nel nostro cuore e nei nostri giudizi. Spero che le storie che seguono abbia a renderci più attenti nei confronti dei carcerati.
Marco P. - Leggo nella storia recente e mi incontro costantemente con due notizie: l’affollamento delle carceri italiane e l’alto numero di suicidi nelle medesime: nel 2011 i suicidi sono stati 186, dal 2000 al 2011 sono 1.960 i detenuti che si sono suicidati, sempre persone umane. È un dato allarmante, una vera e propria strage silenziosa. Nel 2000 ebbi la grazia di prestare servizio presso il carcere “Due Palazzi” di Padova, nella sezione Alta Sicurezza: ergastolani dunque, per la maggior parte. Incontrai un centinaio di persone, ma solo con alcune scattò il percorso di riabilitazione e tutto grazie allo stile di amicizia: presentarsi sorridendo, mostrarsi accoglienti, ascoltare tutto ciò che avevano da dire, non far trapelare mai un giudizio. I primi colloqui avevano uno stampo comune: incarcerati ingiustamente, per coprire qualcuno, l’avvocato si era sbagliato… Poi, solo con alcuni, pochi, scattava qualcosa di diverso: la fiducia li portava ad aprirsi, a confidare la verità, a chiedere perdono. Spesso era il pensiero dei figli a mettere in movimento queste persone, il desiderio che almeno loro potessero vivere in modo diverso. Ricordo in particolare Marco P., che aveva sparato al padre con il fucile da caccia, mentre questi abusava della figlia. Poi venne la droga, o forse c’era già. Marco era in dubbio se iscriversi al corso per avere la licenza media, ma era svogliato, demotivato. Lo attirava il fatto che avrebbe potuto godere di alcuni sconti pena. Lo incoraggiai, ma aveva avuto un’esperienza umiliante con la scuola: alle elementari, la maestra lo aveva ingabbiato in un doppio giro di banchi perché non disturbasse gli altri alunni. Alla fine Marco accettò, si iscrisse al corso e quello fu l’inizio della sua rinascita. Si compiaceva di essere il migliore della classe, composta da cinque allievi, lui era l’unico italiano, gli altri non sapevano né leggere né scrivere nella nostra lingua, figuriamoci studiare! Era una vittoria facile, ma per Marco era importante recuperare la stima di sé. Con gli anni prese anche il diploma di ragioneria e un corso di programmatore per computers gli permise di trovare lavoro a Mestre. Ora gode di un regime di semilibertà. È rinato. La verità lo ha fatto libero.
Cesare deve morire - Nel febbraio 2011 un film italiano, Cesare non deve morire, dei Fratelli Taviani ha trionfato al Festival cinematografico di Berlino, vincendo l’Orso d’oro. Il film è girato quasi per intero nel carcere di Rebibbia, dove da un decennio alcuni detenuti recitano Shakespeare, Dante ecc. Questo percorso nell’arte li aiuta a ritrovare la stima e ad entrare in contatto con la bellezza. Attraverso il testo teatrale esprimono se stessi, ritrovano la verità, la rielaborano e la integrano nella loro vita. Nel film dei Taviani il testo che la compagnia teatrale deve rappresentare è il Giulio Cesare di Shakespeare, dove vi sono la congiura, l’omicidio, il male. Chi recita il personaggio di Bruto deve ‘ripetere’ e rivivere ciò che ha compiuto nella vita. Tutto ciò aiuta a prendere contatto con se stessi e con la propria storia attraverso il linguaggio dell’arte. Dice in un intervista Salvatore Striano, ‘Sasà’, in carcere a Rebibbia per otto anni, protagonista del film dei Taviani e ora attore di successo: «Ho esitato un momento, ma lavorare con i Fratelli Taviani era un’occasione troppo straordinaria. Come in un sogno mi sono ritrovato Bruto su quello strano set, ho rivisto antichi compagni di pena, ho ripetuto con loro parole ed emozioni di un testo che pareva scritto sulla pelle di tutti noi. Dove si parla di amicizia e di odio, di potere e di libertà, di tradimento, di complotti e di omicidi… La famosa frase di Antonio davanti al cadavere di Cesare, “Bruto è un uomo d’onore”, nel braccio di Alta Sicurezza di Rebibbia affollato da cosiddetti “uomini d’onore”, risuona ben diversamente». Oggi ‘Sasà’ è attore affermato, che ha lavorato anche in Gomorra di Matteo Garrone e in diversi serial televisivi. La sua vita è rinata.
Ciro - L’amore buio è un film di Antonio Capuano del 2010, vi si narrano le storie di Ciro e di Irene, due adolescenti napoletani: lei appartiene al ceto borghese della città, lui a quello della camorra. Ciro, dopo aver bevuto, ferma Irene appena scesa dall’auto del fidanzatino e con i compagni compie su di lei violenza. Incarcerato a Nisida, Ciro inizia a chiudersi e a sentirsi diverso dagli altri, la sua rabbia la esprime con gesti violenti, ma poi attraverso alcune lettere e poesie (una scritta anche ad Irene), riesce a rielaborare il proprio gesto e a redimersi. L’arte, la bellezza, la poesia sono anche in questo film, che andrebbe proiettato in tutti i nostri oratori, una possibilità di redenzione. Ciro, figlio del suo tempo, troverà il coraggio di “annunciare” il suo cambiamento in una poesia recitata sul palco del carcere, poesia che egli stesso trasforma in Rap per renderla accessibile al suo linguaggio, che è anche quello degli altri ragazzi. Nel film di Antonio Capuano compare anche don Luigi Merola, sacerdote che ha girato più di 900 scuole in Italia a raccontare Napoli, i giovani e la camorra. Con alcune associazioni si occupa di prevenzione del mondo giovanile nei quartieri a rischio di Napoli e dintorni. Dal 1997 gira con la scorta perché la sua vita è in pericolo.
C’è una liberazione in atto oggi? C’è ed è operata da quei sacerdoti, da quei cristiani che hanno preso sul serio il discorso di Gesù nella sinagoga di Nazareth, sapendo che quelle parole chiedono di essere incarnate in vite concrete spese per gli altri, proprio come ha fatto Gesù dando vita alla parola del profeta Isaia.
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