(Genesi 15,2-12.17-18 Filippesi 3,17-4,1 Luca 9,28b-36)
La pedagogia della Chiesa conduce dal deserto delle tentazioni al monte della trasfigurazione, dalla lotta alla festa: ma richiede movimento e disponibilità al cambiamento. È la grazia tipica di questo periodo quaresimale. Il problema è che spesso, invece di lasciarsi trasfigurare dal Signore Gesù, i cristiani rischiano di lasciarsi sfigurare da uno stile di vita non ispirato alle «opere buone del Vangelo», come suggerisce la CEI nel progetto pastorale di questo decennio. Ad esempio, ci si va gradualmente abituando alle brutture morali e alle bruttezze estetiche come pure alla superficialità e alla passività. Insicuri, frettolosi e sempre più ingolfati di cose e di impegni, si rischia di stringere tra le mani il nulla, diventando nani spirituali, spenti nell’anima. L’anelito ad amare e ad essere amati si è tramutato in competizione, conflitto e rancore; la vita di coppia si è ridotta a contratto a tempo; le relazioni interpersonali sono inquinate dalla legge «usa e getta».
È eloquente il settenario elaborato da Gandhi, secondo il quale l’uomo si distrugge: primo, con la politica senza principi; secondo, con la ricchezza senza lavoro; terzo, con l’intelligenza senza sapienza; quarto, con gli affari senza la morale; quinto, con la scienza senza umanità; sesto, con la religione senza la fede; settimo, con l’amore senza il sacrificio di sé.
Nel sacrificio di Gesù si supera la morte e tutto ciò che è vissuto nell’amore viene strappato dalla morte, che pare dominare tutto. Proprio nel dono totale di sé, Gesù rivela la vera immagine di Dio e trasfigura nel bene il male che lo ha colpito, perché diventa luogo della suprema rivelazione dell’amore. Nella morte, passaggio obbligato, noi veniamo ‘ricuperati’ da Dio in Cristo. Questo avviene nel Battesimo. Ogni atto di amore, di servizio e di offerta di sé richiede un percorso di morte e risurrezione e contribuisce a rendere più bella l’umanità. Ad un giovane, desideroso di imparare a dipingere le icone, il monaco disse: «Si comincia dalla vita; quando sarai ben iniziato alla ricchezza della vita nuova, della vita con Dio, potrai anche esprimerla». La santità è cogliere e lasciar trapelare la sacra mentalità della vita, delle relazioni e delle cose.
La trasfigurazione è la porta che immette i discepoli a ‘vedere’ e a ‘conoscere’ l’identità del Cristo risorto e vivo: non più un ‘personaggio’, ma una Persona, vivente e operante nello Spirito Santo. Paolo VI sosteneva che la Chiesa ha bisogno della sua perenne Pentecoste, di fuoco nel cuore, di parole sulle labbra, di profezia nello sguardo. Invocare lo Spirito Santo, che grida in ciascuno «Gesù è il Signore», aiuta a trasformare la società con la proposta radiosa di una fede che fa vivere quotidianamente il volto di Dio. Questo comporta anche riattualizzare cristianamente il monito dei comandamenti. Ad esempio il «non uccidere» diventa «dài la vita» e il «non rubare» si tramuta in «diventa generoso»; il «non dire falsa testimonianza» equivale a «di’ la verità» e il «non desiderare i beni altrui» significa «coltiva la tua vita con desideri realizzabili». La bellezza non è assenza di rughe, ma lo sguardo tenero sugli altri e l’intensità delle emozioni è la capacità di continuare a stupirsi. Nei tempi di crisi la storia è costruita dai generosi di cuore, perché i ricchi disperano, mentre i poveri sanno solo sperare (G. Bernanos). Spesso le istituzioni e le leggi ci sono, è il cuore che non funziona. È necessario ‘rinnovare’, come esortava il beato don Luigi Sturzo: «Fate, rifate, non stancatevi!». Le comunità cristiane non esistono come nicchie protettive ed auto-gratificanti, ma per ridire la verità, ridare speranza e rifare la carità. Non si ha niente di nuovo da proporre, ma si esplicita che tutto può cambiare se si ritorna al Signore Gesù. Da che cosa si evince che il singolo, la famiglia, i gruppi, la parrocchia sono discepoli di Gesù, «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45,3)?
PREGHIERA
La pedagogia della Chiesa conduce dal deserto delle tentazioni al monte della trasfigurazione, dalla lotta alla festa: ma richiede movimento e disponibilità al cambiamento. È la grazia tipica di questo periodo quaresimale. Il problema è che spesso, invece di lasciarsi trasfigurare dal Signore Gesù, i cristiani rischiano di lasciarsi sfigurare da uno stile di vita non ispirato alle «opere buone del Vangelo», come suggerisce la CEI nel progetto pastorale di questo decennio. Ad esempio, ci si va gradualmente abituando alle brutture morali e alle bruttezze estetiche come pure alla superficialità e alla passività. Insicuri, frettolosi e sempre più ingolfati di cose e di impegni, si rischia di stringere tra le mani il nulla, diventando nani spirituali, spenti nell’anima. L’anelito ad amare e ad essere amati si è tramutato in competizione, conflitto e rancore; la vita di coppia si è ridotta a contratto a tempo; le relazioni interpersonali sono inquinate dalla legge «usa e getta».
È eloquente il settenario elaborato da Gandhi, secondo il quale l’uomo si distrugge: primo, con la politica senza principi; secondo, con la ricchezza senza lavoro; terzo, con l’intelligenza senza sapienza; quarto, con gli affari senza la morale; quinto, con la scienza senza umanità; sesto, con la religione senza la fede; settimo, con l’amore senza il sacrificio di sé.
Nel sacrificio di Gesù si supera la morte e tutto ciò che è vissuto nell’amore viene strappato dalla morte, che pare dominare tutto. Proprio nel dono totale di sé, Gesù rivela la vera immagine di Dio e trasfigura nel bene il male che lo ha colpito, perché diventa luogo della suprema rivelazione dell’amore. Nella morte, passaggio obbligato, noi veniamo ‘ricuperati’ da Dio in Cristo. Questo avviene nel Battesimo. Ogni atto di amore, di servizio e di offerta di sé richiede un percorso di morte e risurrezione e contribuisce a rendere più bella l’umanità. Ad un giovane, desideroso di imparare a dipingere le icone, il monaco disse: «Si comincia dalla vita; quando sarai ben iniziato alla ricchezza della vita nuova, della vita con Dio, potrai anche esprimerla». La santità è cogliere e lasciar trapelare la sacra mentalità della vita, delle relazioni e delle cose.
La trasfigurazione è la porta che immette i discepoli a ‘vedere’ e a ‘conoscere’ l’identità del Cristo risorto e vivo: non più un ‘personaggio’, ma una Persona, vivente e operante nello Spirito Santo. Paolo VI sosteneva che la Chiesa ha bisogno della sua perenne Pentecoste, di fuoco nel cuore, di parole sulle labbra, di profezia nello sguardo. Invocare lo Spirito Santo, che grida in ciascuno «Gesù è il Signore», aiuta a trasformare la società con la proposta radiosa di una fede che fa vivere quotidianamente il volto di Dio. Questo comporta anche riattualizzare cristianamente il monito dei comandamenti. Ad esempio il «non uccidere» diventa «dài la vita» e il «non rubare» si tramuta in «diventa generoso»; il «non dire falsa testimonianza» equivale a «di’ la verità» e il «non desiderare i beni altrui» significa «coltiva la tua vita con desideri realizzabili». La bellezza non è assenza di rughe, ma lo sguardo tenero sugli altri e l’intensità delle emozioni è la capacità di continuare a stupirsi. Nei tempi di crisi la storia è costruita dai generosi di cuore, perché i ricchi disperano, mentre i poveri sanno solo sperare (G. Bernanos). Spesso le istituzioni e le leggi ci sono, è il cuore che non funziona. È necessario ‘rinnovare’, come esortava il beato don Luigi Sturzo: «Fate, rifate, non stancatevi!». Le comunità cristiane non esistono come nicchie protettive ed auto-gratificanti, ma per ridire la verità, ridare speranza e rifare la carità. Non si ha niente di nuovo da proporre, ma si esplicita che tutto può cambiare se si ritorna al Signore Gesù. Da che cosa si evince che il singolo, la famiglia, i gruppi, la parrocchia sono discepoli di Gesù, «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45,3)?
PREGHIERA
Li hai chiamati con te, Gesù, perché vedano la tua gloria. Li hai portati sul monte perché siano coperti dall’ombra di Dio. Un’esperienza forte, la loro, e talmente bella che vorrebbero fermarsi per sempre in quel luogo.
Ma quella per te è solo una tappa: c’è una meta al tuo viaggio ed è Gerusalemme perché lì deve compiersi il disegno del Padre. C’è un esodo da compiere, un passaggio doloroso e difficile: una prova terribile ti attende e tu non ti tiri indietro, vuoi andare fino in fondo. Pietro, Giacomo e Giovanni dovranno ricordarsi in quei frangenti drammatici quanto è accaduto sul monte.
Quando sembrerà che Dio stesso ti abbia abbandonato, quando il fallimento apparente li porterà a dubitare e ad avere paura, allora li soccorrerà quanto hanno visto e inteso, allora sarà la tua parola a guidarli e a portare luce.
Sì, tu sei il Figlio di Dio, l’eletto, colui che sta per donare la sua vita, con un’offerta totale, completa, senza trattenere nulla per sé.
Ma quella per te è solo una tappa: c’è una meta al tuo viaggio ed è Gerusalemme perché lì deve compiersi il disegno del Padre. C’è un esodo da compiere, un passaggio doloroso e difficile: una prova terribile ti attende e tu non ti tiri indietro, vuoi andare fino in fondo. Pietro, Giacomo e Giovanni dovranno ricordarsi in quei frangenti drammatici quanto è accaduto sul monte.
Quando sembrerà che Dio stesso ti abbia abbandonato, quando il fallimento apparente li porterà a dubitare e ad avere paura, allora li soccorrerà quanto hanno visto e inteso, allora sarà la tua parola a guidarli e a portare luce.
Sì, tu sei il Figlio di Dio, l’eletto, colui che sta per donare la sua vita, con un’offerta totale, completa, senza trattenere nulla per sé.