Per una pausa spirituale durante la IIª Settimana del Tempo ordinario
A dir la verità, la domanda non solo suona un po’ strana, ma la risposta sembra anche altrettanto ovvia, visto che da secoli «si trasmette la fede cristiana». Eppure la questione non è così banale. Infatti, se la fede fosse una questione di ‘contenuti’ da credere (come un libro, un catechismo o la stessa Scrittura) o di azioni da tramandare (come celebrare un sacramento o come vivere nella propria vita alcune indicazioni del vangelo), allora è facile trasmetterla: basta far arrivare dal passato queste ‘cose’ e questi ‘insegnamenti’ in modo da renderli accessibili anche all’oggi e favorire così la decisione delle persone. Ma se la fede è una scelta di libertà per una persona amata, una decisione di vita, prima e ancor più che una questione di ‘cose’ e di ‘insegnamenti’, come è possibile trasmetterla ad un altro? È mai possibile trasmettere una realtà così personale?
La questione, dunque, è degna di essere pensata, perché qui non è solo in gioco la necessità di essere dei credenti che trasmettono non solo a parole ma con i fatti la loro fede, bensì è in gioco il cuore stesso della fede cristiana.
Spieghiamoci. L’esperienza di vita pastorale e catechistica insegna che non è sufficiente semplicemente enunciare i ‘contenuti’ del credere, perché solo dentro una buona testimonianza quegli stessi contenuti possono diventare un’occasione seria per l’interlocutore di incontrare Gesù. Per dirla con la famosa affermazione di papa Paolo VI: «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri… o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi [1975], n. 41). Questa dimensione rimane vera, ma rimane vera per tutte le realtà, non solo per il cristianesimo: l’uomo (non solo d’oggi) cerca nella testimonianza di vita una verifica della credibilità delle parole annunciate con le labbra, per lo meno di quelle che riguardano il senso del vivere (l’esempio, banale, ma spesso ripetuto: come può un figlio ‘credere’, ascoltare un genitore fumatore che gli dice che non deve fumare perché il fumo fa male?).
Ma la questione in gioco con la ‘trasmissione della fede’ è ancor più radicale e investe la singolarità del cristianesimo, che a differenza delle altre grandi religioni monoteistiche, non è una ‘religione del Libro’ (come l’ebraismo e l’islam), bensì la ‘religione della Persona’, cioè di Gesù. Se per trasmettere l’ebraismo e l’islam è sufficiente che almeno il Libro sacro venga trasmesso, per il cristianesimo no: anche se mi fosse trasmesso il vangelo, ma non la persona di Gesù, il compito della trasmissione della fede non sarebbe assolto, perché credere è sempre un incontrare personalmente Gesù presente. Ma come è possibile ‘trasmettere Gesù’? Si può ‘trasmettere’ una persona?
Al tempo della vita terrena di Gesù, raccontataci dal vangelo di Giovanni di oggi, fare tale esperienza era abbastanza facile: a chi cercava di sapere dove «dimorasse» (v. 38) il Maestro, Gesù stesso rispondeva dicendo della necessità di andare con lui e di «vedere» con i propri occhi (v. 39). E i discepoli «andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui» (v. 39). Così, avendo «trovato il Messia» (v. 41), è facile per loro ‘trasmettere’ questo incontro, «conducendo» direttamente da Gesù (v. 42) chi fosse interessato all’incontro. Ma oggi? Come è possibile ‘trasmettere’ Gesù? Come è possibile condurre all’incontro personale proprio con il Maestro, con la sua persona e non solo con i suoi insegnamenti o le sue idee?
Qui ci vengono in aiuto alcune affermazioni del concilio Vaticano II, il quale ha parlato della Chiesa, che «è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento» della presenza di Dio nel mondo (Lumen gentium, n. 1). Il «segno» e lo «strumento», che permette l’incontro reale con Gesù Vivente oggi, è la comunità dei credenti che vive della presenza di Gesù. Come ogni sacramento ha bisogno di una ‘materia’ per far agire la grazia (il pane per l’eucaristia, l’acqua per il battesimo, ecc.), così Gesù ha bisogno della ‘materia’ (passi l’espressione) ‘Chiesa’ per rendersi presente nel mondo: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Ecco dov’è, oggi, la «dimora», il luogo in cui è possibile incontrare il Maestro: Egli vive dentro la vita di chiunque possa dire: «Non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20).
La necessità della Chiesa (che è diversa da qualsiasi altro tipo di comunità sia sociale sia religiosa), dunque, deriva direttamente dal fatto che il cristianesimo è incontrare personalmente Gesù. Proprio perché la ‘verità’ che deve essere trasmessa non è semplicemente un’idea, una ‘cosa’ (un ‘contenuto’), ma una ‘vita’, una persona, la ‘via’ che la rende accessibile è data non da un libro, ma da una comunità di persone (la Chiesa) che, vivendo di quella verità-vita, la rendono presente. Per questo è decisivo domandarsi, dalla fede delle nostre comunità, dall’insieme della vita delle nostre comunità, quale immagine di Gesù si stia trasmettendo: Chi incontra le nostre comunità, incontra davvero Gesù? Chi vede le nostre comunità che immagine, che idea può farsi del Dio di Gesù?
A dir la verità, la domanda non solo suona un po’ strana, ma la risposta sembra anche altrettanto ovvia, visto che da secoli «si trasmette la fede cristiana». Eppure la questione non è così banale. Infatti, se la fede fosse una questione di ‘contenuti’ da credere (come un libro, un catechismo o la stessa Scrittura) o di azioni da tramandare (come celebrare un sacramento o come vivere nella propria vita alcune indicazioni del vangelo), allora è facile trasmetterla: basta far arrivare dal passato queste ‘cose’ e questi ‘insegnamenti’ in modo da renderli accessibili anche all’oggi e favorire così la decisione delle persone. Ma se la fede è una scelta di libertà per una persona amata, una decisione di vita, prima e ancor più che una questione di ‘cose’ e di ‘insegnamenti’, come è possibile trasmetterla ad un altro? È mai possibile trasmettere una realtà così personale?
La questione, dunque, è degna di essere pensata, perché qui non è solo in gioco la necessità di essere dei credenti che trasmettono non solo a parole ma con i fatti la loro fede, bensì è in gioco il cuore stesso della fede cristiana.
Spieghiamoci. L’esperienza di vita pastorale e catechistica insegna che non è sufficiente semplicemente enunciare i ‘contenuti’ del credere, perché solo dentro una buona testimonianza quegli stessi contenuti possono diventare un’occasione seria per l’interlocutore di incontrare Gesù. Per dirla con la famosa affermazione di papa Paolo VI: «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri… o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi [1975], n. 41). Questa dimensione rimane vera, ma rimane vera per tutte le realtà, non solo per il cristianesimo: l’uomo (non solo d’oggi) cerca nella testimonianza di vita una verifica della credibilità delle parole annunciate con le labbra, per lo meno di quelle che riguardano il senso del vivere (l’esempio, banale, ma spesso ripetuto: come può un figlio ‘credere’, ascoltare un genitore fumatore che gli dice che non deve fumare perché il fumo fa male?).
Ma la questione in gioco con la ‘trasmissione della fede’ è ancor più radicale e investe la singolarità del cristianesimo, che a differenza delle altre grandi religioni monoteistiche, non è una ‘religione del Libro’ (come l’ebraismo e l’islam), bensì la ‘religione della Persona’, cioè di Gesù. Se per trasmettere l’ebraismo e l’islam è sufficiente che almeno il Libro sacro venga trasmesso, per il cristianesimo no: anche se mi fosse trasmesso il vangelo, ma non la persona di Gesù, il compito della trasmissione della fede non sarebbe assolto, perché credere è sempre un incontrare personalmente Gesù presente. Ma come è possibile ‘trasmettere Gesù’? Si può ‘trasmettere’ una persona?
Al tempo della vita terrena di Gesù, raccontataci dal vangelo di Giovanni di oggi, fare tale esperienza era abbastanza facile: a chi cercava di sapere dove «dimorasse» (v. 38) il Maestro, Gesù stesso rispondeva dicendo della necessità di andare con lui e di «vedere» con i propri occhi (v. 39). E i discepoli «andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui» (v. 39). Così, avendo «trovato il Messia» (v. 41), è facile per loro ‘trasmettere’ questo incontro, «conducendo» direttamente da Gesù (v. 42) chi fosse interessato all’incontro. Ma oggi? Come è possibile ‘trasmettere’ Gesù? Come è possibile condurre all’incontro personale proprio con il Maestro, con la sua persona e non solo con i suoi insegnamenti o le sue idee?
Qui ci vengono in aiuto alcune affermazioni del concilio Vaticano II, il quale ha parlato della Chiesa, che «è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento» della presenza di Dio nel mondo (Lumen gentium, n. 1). Il «segno» e lo «strumento», che permette l’incontro reale con Gesù Vivente oggi, è la comunità dei credenti che vive della presenza di Gesù. Come ogni sacramento ha bisogno di una ‘materia’ per far agire la grazia (il pane per l’eucaristia, l’acqua per il battesimo, ecc.), così Gesù ha bisogno della ‘materia’ (passi l’espressione) ‘Chiesa’ per rendersi presente nel mondo: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Ecco dov’è, oggi, la «dimora», il luogo in cui è possibile incontrare il Maestro: Egli vive dentro la vita di chiunque possa dire: «Non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20).
La necessità della Chiesa (che è diversa da qualsiasi altro tipo di comunità sia sociale sia religiosa), dunque, deriva direttamente dal fatto che il cristianesimo è incontrare personalmente Gesù. Proprio perché la ‘verità’ che deve essere trasmessa non è semplicemente un’idea, una ‘cosa’ (un ‘contenuto’), ma una ‘vita’, una persona, la ‘via’ che la rende accessibile è data non da un libro, ma da una comunità di persone (la Chiesa) che, vivendo di quella verità-vita, la rendono presente. Per questo è decisivo domandarsi, dalla fede delle nostre comunità, dall’insieme della vita delle nostre comunità, quale immagine di Gesù si stia trasmettendo: Chi incontra le nostre comunità, incontra davvero Gesù? Chi vede le nostre comunità che immagine, che idea può farsi del Dio di Gesù?
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