(1° Samuele 3,3b-10.19 1ª Corinti 6,13-15.17-20 Giovanni 1,35-42)
La radice cristiana della nostra esistenza, ciò che le dà fondamento, è l’incontro con Gesù: essere cristiani non significa aderire a una dottrina, ma incontrare la sua persona. Egli ci trasmette la volontà di Dio: la nostra salvezza! Seguire Gesù, perciò, non è un fatto privato, impegna a costruire il corpo della Chiesa, la famiglia di Dio come segno di salvezza nel e per il mondo.
Il cristianesimo non è una «religione del Libro», ma l’incontro con la stessa persona di Gesù, riconosciuto come il Vivente e presente nella storia dell’umanità. Segno e strumento, che permette l’incontro reale con Gesù vivente oggi, è la comunità dei credenti che vive della presenza di Gesù. Per questo l’ascolto della sua Parola e la disponibilità all’esperienza di comunione sono la condizione per seguirlo. La sua chiamata è personale, ma coinvolge con altri e, idealmente, con tutta la terra, nella reciproca responsabilità e nella lode riconoscente a Dio.
L’evangelista Giovanni nel brano di oggi descrive un passaggio di consegne, racconta la fine di un discepolato e l’inizio di un altro. Il vecchio maestro indica ai discepoli il nuovo maestro: Gesù. Questa pagina fotografa uno sguardo e raccoglie alcune parole importanti pronunciate dal Battista: «Ecco l’agnello di Dio!» (v. 36). Per i due discepoli è stato sufficiente fissare gli occhi rapiti del loro primo maestro e dare credito a queste parole per intraprendere un nuovo cammino. Tra sguardi che si incrociano e parole decisive finisce una storia e ne inizia un’altra. Gesù «passava» (v. 36). Non sappiamo né da dove, né verso dove. Non abbiamo alcuna indicazione di luogo. Sappiamo soltanto che Gesù in quel momento «passava». L’espressione ha tutta l’aria di volerci dire qualcosa di più. Essa descrive l’eterno movimento di Gesù che desidera raggiungere ed entrare nella vita dell’uomo: non c’è vita in cui Gesù non passi, non c’è storia che Gesù non tocchi. Il suo discreto procedere ai margini della nostra vita chiede la risposta della libertà, chiede quell’affidamento rischioso che è la sequela. I due discepoli raccolgono l’appello verbale del Battista e quello silenzioso di Gesù che, semplicemente, passa.
Il primo atto di questo affidamento è rappresentato dal «seguire» Gesù. I due discepoli seguono l’uomo indicato da Giovanni senza conoscerlo. Camminano dietro a lui senza condividere null’altro se non la strada che stanno facendo. Seguono Gesù sullo slancio infuso loro dal Battista, un Gesù ancora muto e anonimo.
Il secondo atto di questo racconto è costituito dalla domanda di Gesù: «Che cosa cercate?» (v. 38). Sono le prime parole di Gesù nel quarto vangelo. Questa domanda è ben più che un atto di cortesia di Gesù verso questi due sconosciuti che lo seguono, è una specie di macigno gettato nel mare della nostra presunta tranquillità. Ogni uomo ha mille risposte per questa domanda, e allo stesso tempo sa che nessuna è quella davvero giusta. Ogni uomo sa che sta cercando. La domanda di Gesù mette i due discepoli, e tutti noi, in contatto con il dinamismo del desiderio umano. Prenderne coscienza è il primo passo verso Dio.
Il terzo atto del racconto è un’altra domanda con cui i due rispondono a Gesù: «Rabbì, dove dimori?» (v. 38). In questa domanda ne è nascosta un’altra molto più profonda. I due hanno chiesto a Gesù di manifestare la sua identità. La replica di Gesù costituisce l’essenza del cristianesimo: «Venite e vedrete» (v. 39). È l’invito ad un’esperienza che ognuno deve compiere in prima persona. Non sono ammesse deleghe, nessuno la può vivere al posto di un altro. «Andarono e videro»: questa esperienza è la radice di tutte le successive, è la radice di quella conoscenza del maestro che fece scrivere all’evangelista l’indimenticabile frase del prologo: «Noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità» (1,14). In quel pomeriggio, i due discepoli iniziarono ad intuire il mistero del «Verbo fatto carne». «E videro dove abitava e rimasero con lui» (v. 39): il verbo «rimanere» è quello che per eccellenza caratterizza il discepolato nel quarto vangelo. È il termine che domina il capitolo 15, nel quale Gesù, «vera vite», esorta i suoi discepoli a rimanere in lui, a restare nel suo amore. Non sappiamo che cosa Gesù disse e fece in quel pomeriggio. Sappiamo solo che, dall’esperienza che fecero con Gesù, nacque nei due discepoli la certezza di avere trovato quello che cercavano. La loro ricerca poteva dirsi conclusa. Andrea, uscito da quell’incontro, trovò suo fratello Simone e con entusiasmo gli annunciò: «Abbiamo trovato il Messia» (v. 41). Chi ha incontrato Cristo, e si è fatto discepolo, diventa uno che a sua volta invita altri a partecipare a questa importante scoperta.
PREGHIERA - È Giovanni il Battista, Gesù, a fornire l’indicazione attesa perché è lui che riconosce in te «l’agnello di Dio». Ed è sulla sua parola che i due discepoli si mettono per strada e ti seguono. La storia della fede comincia proprio così: muovendo i nostri passi sulle tue orme, accettando di venirti dietro, mossi da un desiderio importante, quello di conoscerti e di stare con te.
No, non c’è nulla di magico, di istantaneo. Una relazione non si improvvisa: ci vuole tempo se si vuole entrare nel mistero di una persona e poi bisogna essere pronti ad accogliere un dono insperato.
Le domande, a questo punto, si incrociano tra loro. Tu ti accorgi quando qualcuno vuole veramente incontrarti ed è disposto a lasciare ogni cosa pur di trovare il tesoro più prezioso. Sì, perché sei proprio tu il destinatario della nostra attesa, tu il Maestro che pronuncia parole che scandagliano l’esistenza, tu la Guida che conduce per sentieri sconosciuti, tu il Messia, l’Inviato di Dio, capace di trasformare la vita facendoci partecipare all’avventura del Regno.
La radice cristiana della nostra esistenza, ciò che le dà fondamento, è l’incontro con Gesù: essere cristiani non significa aderire a una dottrina, ma incontrare la sua persona. Egli ci trasmette la volontà di Dio: la nostra salvezza! Seguire Gesù, perciò, non è un fatto privato, impegna a costruire il corpo della Chiesa, la famiglia di Dio come segno di salvezza nel e per il mondo.
Il cristianesimo non è una «religione del Libro», ma l’incontro con la stessa persona di Gesù, riconosciuto come il Vivente e presente nella storia dell’umanità. Segno e strumento, che permette l’incontro reale con Gesù vivente oggi, è la comunità dei credenti che vive della presenza di Gesù. Per questo l’ascolto della sua Parola e la disponibilità all’esperienza di comunione sono la condizione per seguirlo. La sua chiamata è personale, ma coinvolge con altri e, idealmente, con tutta la terra, nella reciproca responsabilità e nella lode riconoscente a Dio.
L’evangelista Giovanni nel brano di oggi descrive un passaggio di consegne, racconta la fine di un discepolato e l’inizio di un altro. Il vecchio maestro indica ai discepoli il nuovo maestro: Gesù. Questa pagina fotografa uno sguardo e raccoglie alcune parole importanti pronunciate dal Battista: «Ecco l’agnello di Dio!» (v. 36). Per i due discepoli è stato sufficiente fissare gli occhi rapiti del loro primo maestro e dare credito a queste parole per intraprendere un nuovo cammino. Tra sguardi che si incrociano e parole decisive finisce una storia e ne inizia un’altra. Gesù «passava» (v. 36). Non sappiamo né da dove, né verso dove. Non abbiamo alcuna indicazione di luogo. Sappiamo soltanto che Gesù in quel momento «passava». L’espressione ha tutta l’aria di volerci dire qualcosa di più. Essa descrive l’eterno movimento di Gesù che desidera raggiungere ed entrare nella vita dell’uomo: non c’è vita in cui Gesù non passi, non c’è storia che Gesù non tocchi. Il suo discreto procedere ai margini della nostra vita chiede la risposta della libertà, chiede quell’affidamento rischioso che è la sequela. I due discepoli raccolgono l’appello verbale del Battista e quello silenzioso di Gesù che, semplicemente, passa.
Il primo atto di questo affidamento è rappresentato dal «seguire» Gesù. I due discepoli seguono l’uomo indicato da Giovanni senza conoscerlo. Camminano dietro a lui senza condividere null’altro se non la strada che stanno facendo. Seguono Gesù sullo slancio infuso loro dal Battista, un Gesù ancora muto e anonimo.
Il secondo atto di questo racconto è costituito dalla domanda di Gesù: «Che cosa cercate?» (v. 38). Sono le prime parole di Gesù nel quarto vangelo. Questa domanda è ben più che un atto di cortesia di Gesù verso questi due sconosciuti che lo seguono, è una specie di macigno gettato nel mare della nostra presunta tranquillità. Ogni uomo ha mille risposte per questa domanda, e allo stesso tempo sa che nessuna è quella davvero giusta. Ogni uomo sa che sta cercando. La domanda di Gesù mette i due discepoli, e tutti noi, in contatto con il dinamismo del desiderio umano. Prenderne coscienza è il primo passo verso Dio.
Il terzo atto del racconto è un’altra domanda con cui i due rispondono a Gesù: «Rabbì, dove dimori?» (v. 38). In questa domanda ne è nascosta un’altra molto più profonda. I due hanno chiesto a Gesù di manifestare la sua identità. La replica di Gesù costituisce l’essenza del cristianesimo: «Venite e vedrete» (v. 39). È l’invito ad un’esperienza che ognuno deve compiere in prima persona. Non sono ammesse deleghe, nessuno la può vivere al posto di un altro. «Andarono e videro»: questa esperienza è la radice di tutte le successive, è la radice di quella conoscenza del maestro che fece scrivere all’evangelista l’indimenticabile frase del prologo: «Noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità» (1,14). In quel pomeriggio, i due discepoli iniziarono ad intuire il mistero del «Verbo fatto carne». «E videro dove abitava e rimasero con lui» (v. 39): il verbo «rimanere» è quello che per eccellenza caratterizza il discepolato nel quarto vangelo. È il termine che domina il capitolo 15, nel quale Gesù, «vera vite», esorta i suoi discepoli a rimanere in lui, a restare nel suo amore. Non sappiamo che cosa Gesù disse e fece in quel pomeriggio. Sappiamo solo che, dall’esperienza che fecero con Gesù, nacque nei due discepoli la certezza di avere trovato quello che cercavano. La loro ricerca poteva dirsi conclusa. Andrea, uscito da quell’incontro, trovò suo fratello Simone e con entusiasmo gli annunciò: «Abbiamo trovato il Messia» (v. 41). Chi ha incontrato Cristo, e si è fatto discepolo, diventa uno che a sua volta invita altri a partecipare a questa importante scoperta.
PREGHIERA - È Giovanni il Battista, Gesù, a fornire l’indicazione attesa perché è lui che riconosce in te «l’agnello di Dio». Ed è sulla sua parola che i due discepoli si mettono per strada e ti seguono. La storia della fede comincia proprio così: muovendo i nostri passi sulle tue orme, accettando di venirti dietro, mossi da un desiderio importante, quello di conoscerti e di stare con te.
No, non c’è nulla di magico, di istantaneo. Una relazione non si improvvisa: ci vuole tempo se si vuole entrare nel mistero di una persona e poi bisogna essere pronti ad accogliere un dono insperato.
Le domande, a questo punto, si incrociano tra loro. Tu ti accorgi quando qualcuno vuole veramente incontrarti ed è disposto a lasciare ogni cosa pur di trovare il tesoro più prezioso. Sì, perché sei proprio tu il destinatario della nostra attesa, tu il Maestro che pronuncia parole che scandagliano l’esistenza, tu la Guida che conduce per sentieri sconosciuti, tu il Messia, l’Inviato di Dio, capace di trasformare la vita facendoci partecipare all’avventura del Regno.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.