Non è la giornata del pietismo né di una visione negativa della vita. È diffusa una concezione riduttiva della fede cristiana, nella quale la croce è solo sinonimo di rinuncia e sacrificio, negatività e fallimento. Il cristianesimo, invece, è Buona Notizia e Vita Buona, ma non regge senza la Croce di Gesù. Il Crocifisso riporta al centro il mistero pasquale e la concretezza personale dell’esperienza di Gesù, che frantuma tante nostre immagini di Dio, ispirate alla forza, all’autosufficienza e alla facile vittoria.
Mons. Tonino Bello scriveva: «La Croce pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Abbiamo scelto la circonvallazione e non la mulattiera del Calvario. Abbiamo bisogno di riconciliarci con la Croce e ritrovare, sulla carta stradale della nostra esistenza paganeggiante, lo svincolo giusto che porta ai piedi del condannato!».
La celebrazione del Venerdì santo intende aiutarci a trovare questo difficile «svincolo giusto». Questo è un giorno buio come la notte, il giorno dello scandalo. Nessuno, davanti al Crocifisso, ha le carte in regola. Cristo lo aveva predetto: «Tutti… tutti vi scandalizzerete». Lo aveva detto il giorno prima, nella sera della Cena, mentre spezzava il pane e offriva il vino, simbolo del dono del suo Corpo e del suo Sangue. Pane della compassione, vino dell’oblazione totale di sé. Noi, come i discepoli, vorremmo un Cristo guerriero («Abbiamo due spade!»), ma egli a noi come a Pietro intima: «Rimetti la spada nel fodero». Noi vorremmo un Dio vincitore in modo spettacolare, capace di scendere dalla croce e rispondere alle critiche in modo inequivocabile. Proprio perché è Figlio, non è sceso: è, questo, il miracolo dei miracoli: quello dell’amore fino all’estremo, senza sotterfugi o scorciatoie.
Nel racconto della passione, le parole e i gesti di Gesù sono tutti caratterizzati dalla.Hanno bloccato sulla croce i suoi piedi di Maestro pellegrinante, che ha attraversato villaggi e città, predicando, guarendo, ascoltando e consolando tutti. Ma la forza dell’amore, che ha guidato i suoi passi, non può essere fermata dai chiodi! La sua preghiera non è più sul monte e la sua predicazione è senza parole, ma l’ingiustizia e la cattiveria non scalfiscono il compimento della sua missione: «Tutto è compiuto!». La gloria di Dio lo raggiunge anche su quel trono particolare, che è la croce. Il segno tipico della morte diventa l’albero di vita, il seme deposto in silenzio diventa il germoglio di un mondo d’amore.
‘Passione’ significa amore appassionato che nel donarsi non fa calcoli. La croce, che sembra innalzarsi da terra, in realtà pende dal cielo, come un abbraccio divino che stringe l’universo. L’importante è non volgersi ad altri che a Gesù.
Attorno alla Croce di Gesù c’è posto per tutti: per i capi e i soldati, per i curiosi e gli indifferenti, per i provocatori e i soddisfatti, per il silenzio di Maria, carico di fede e di dignità, per la sorpresa e la missione dell’apostolo Giovanni, per le pie donne in pianto e per la professione di fede del centurione… È uno spaccato delle varie modalità con cui anche oggi si può stare davanti al Cristo in croce. Interessante: il discepolo più giovane, Giovanni, è anche l’unico che resta fino all’ultimo accanto a Gesù, ai piedi della croce, assieme a Maria. Il discepolo «che si lascia amare» è anche colui che ci conduce nelle profondità di un mistero che ci supera.
Sono molteplici i sentimenti che passano nel cuore dei credenti, quando sostano davanti al Crocifisso: resistenza e paura, superficialità e incoerenza, riconoscenza e pentimento, fiducia e speranza, identità e responsabilità. Ovunque c’è una persona, una famiglia, una comunità cristiana e una società, lì c’è bisogno della croce salvifica di Cristo. Chi vuole giungere a Cristo, «non deve mai cercarlo senza la croce», consigliava san Giovanni della Croce.
La Croce insegna che non esiste fallimento senza speranza, nessuna tenebra senza stella, nessuna tempesta senza un porto d’approdo. La croce, su cui è scritto il comandamento dell’amore, è la firma di Dio, è il polo del mondo e l’asse del tempo, l’albero in cui tutto porta frutto, la libertà contagiosa dalla paura di amare.
San Cirillo, vescovo di Alessandria d’Egitto, diceva: «Non vergogniamoci della croce di Cristo. Se anche un altro la nasconde, tu segnala pubblicamente sulla fronte. Fatti questo segno quando ti metti a mangiare e a bere, quando ti corichi e quando devi viaggiare. Poni quel segno su ogni tua azione, così che su di essa si erga colui che fu crocifisso e ora è nell’alto dei cieli». Il Crocifisso non è per l’ostentazione estetica, perché «è il libro che, se letto spesso, ammaestra con la speranza del perdono, la spinta a cambiar vita, la fortezza contro le tentazioni, la fiducia di andare in paradiso» (S. Alfonso M. de’ Liguori).
La Croce di Cristo è stata valorizzata nella liturgia, amata dai martiri e dai santi, celebrata nell’arte cristiana, evidenziata dai testimoni della carità e riproposta dai maestri di spiritualità. Nell’«Anno della Fede», la sapienza della croce interpella i credenti, il paradosso cristiano pone domande, la parziale vittoria dei potenti sollecita dubbi… L’esempio del Maestro che porta per primo la croce è la grande scuola di formazione del cristiano nel mondo. Ma le difficoltà quotidiane interpellano anche i non-credenti i quali, senza la croce di Cristo, sono sguarniti di fronte al non-senso della vita e di tante singole situazioni problematiche. Due rischi vanno evitati: il fare della croce un simbolo, staccato dalla vicenda di Cristo, il Redentore dell’uomo e il Vivente, oppure il fermarsi alla passione di Gesù senza imparare a guardare i tanti crocifissi in ogni epoca della storia, nei quali egli continua ad essere immolato in una Via Crucis infinita. La genericità o la strumentalizzazione svuotano la croce di Cristo del suo mistero unico e permanente. Il poeta G. Ungaretti ha colto lo stretto rapporto tra croce di Cristo e forza di autentica umanità: «So che l’inferno s’apre sulla terra/ su misura di quanto l’uomo/ si sottrae, folle,/ alla purezza della tua passione./ Cristo, fratello che t’immoli perennemente/ per riedificare umanamente l’uomo… ». La croce è, infatti, la denuncia del nostro essere malvagi, sedotti dal male, peccatori e ingiusti, bisognosi di redenzione. Nella croce si abbracciano la miseria dell’uomo e la misericordia di Dio.
Il vescovo Tonino Bello usa una bella immagine: con la croce piantata sul Calvario come una trivella, Gesù ha scavato un pozzo di acqua abbondante e fresca sulla terra assetata. Il compito di ciascuno è ora di farla venire in superficie, di incanalarla, di proteggerla dagli inquinamenti e di farla giungere a tutti. Il mondo è in fiamme, scriveva Edith Stein, ma al di sopra di tutte le fiamme si erge la croce che non può essere bruciata. Davanti alla croce di Cristo e dei fratelli non ci si può fermare a disquisire né tantomeno nascondere dietro una maschera, non si può “passare oltre” lasciando solo il Crocifisso e i crocifissi.
PREGHIERA
Mons. Tonino Bello scriveva: «La Croce pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Abbiamo scelto la circonvallazione e non la mulattiera del Calvario. Abbiamo bisogno di riconciliarci con la Croce e ritrovare, sulla carta stradale della nostra esistenza paganeggiante, lo svincolo giusto che porta ai piedi del condannato!».
La celebrazione del Venerdì santo intende aiutarci a trovare questo difficile «svincolo giusto». Questo è un giorno buio come la notte, il giorno dello scandalo. Nessuno, davanti al Crocifisso, ha le carte in regola. Cristo lo aveva predetto: «Tutti… tutti vi scandalizzerete». Lo aveva detto il giorno prima, nella sera della Cena, mentre spezzava il pane e offriva il vino, simbolo del dono del suo Corpo e del suo Sangue. Pane della compassione, vino dell’oblazione totale di sé. Noi, come i discepoli, vorremmo un Cristo guerriero («Abbiamo due spade!»), ma egli a noi come a Pietro intima: «Rimetti la spada nel fodero». Noi vorremmo un Dio vincitore in modo spettacolare, capace di scendere dalla croce e rispondere alle critiche in modo inequivocabile. Proprio perché è Figlio, non è sceso: è, questo, il miracolo dei miracoli: quello dell’amore fino all’estremo, senza sotterfugi o scorciatoie.
Nel racconto della passione, le parole e i gesti di Gesù sono tutti caratterizzati dalla.Hanno bloccato sulla croce i suoi piedi di Maestro pellegrinante, che ha attraversato villaggi e città, predicando, guarendo, ascoltando e consolando tutti. Ma la forza dell’amore, che ha guidato i suoi passi, non può essere fermata dai chiodi! La sua preghiera non è più sul monte e la sua predicazione è senza parole, ma l’ingiustizia e la cattiveria non scalfiscono il compimento della sua missione: «Tutto è compiuto!». La gloria di Dio lo raggiunge anche su quel trono particolare, che è la croce. Il segno tipico della morte diventa l’albero di vita, il seme deposto in silenzio diventa il germoglio di un mondo d’amore.
‘Passione’ significa amore appassionato che nel donarsi non fa calcoli. La croce, che sembra innalzarsi da terra, in realtà pende dal cielo, come un abbraccio divino che stringe l’universo. L’importante è non volgersi ad altri che a Gesù.
Attorno alla Croce di Gesù c’è posto per tutti: per i capi e i soldati, per i curiosi e gli indifferenti, per i provocatori e i soddisfatti, per il silenzio di Maria, carico di fede e di dignità, per la sorpresa e la missione dell’apostolo Giovanni, per le pie donne in pianto e per la professione di fede del centurione… È uno spaccato delle varie modalità con cui anche oggi si può stare davanti al Cristo in croce. Interessante: il discepolo più giovane, Giovanni, è anche l’unico che resta fino all’ultimo accanto a Gesù, ai piedi della croce, assieme a Maria. Il discepolo «che si lascia amare» è anche colui che ci conduce nelle profondità di un mistero che ci supera.
Sono molteplici i sentimenti che passano nel cuore dei credenti, quando sostano davanti al Crocifisso: resistenza e paura, superficialità e incoerenza, riconoscenza e pentimento, fiducia e speranza, identità e responsabilità. Ovunque c’è una persona, una famiglia, una comunità cristiana e una società, lì c’è bisogno della croce salvifica di Cristo. Chi vuole giungere a Cristo, «non deve mai cercarlo senza la croce», consigliava san Giovanni della Croce.
La Croce insegna che non esiste fallimento senza speranza, nessuna tenebra senza stella, nessuna tempesta senza un porto d’approdo. La croce, su cui è scritto il comandamento dell’amore, è la firma di Dio, è il polo del mondo e l’asse del tempo, l’albero in cui tutto porta frutto, la libertà contagiosa dalla paura di amare.
San Cirillo, vescovo di Alessandria d’Egitto, diceva: «Non vergogniamoci della croce di Cristo. Se anche un altro la nasconde, tu segnala pubblicamente sulla fronte. Fatti questo segno quando ti metti a mangiare e a bere, quando ti corichi e quando devi viaggiare. Poni quel segno su ogni tua azione, così che su di essa si erga colui che fu crocifisso e ora è nell’alto dei cieli». Il Crocifisso non è per l’ostentazione estetica, perché «è il libro che, se letto spesso, ammaestra con la speranza del perdono, la spinta a cambiar vita, la fortezza contro le tentazioni, la fiducia di andare in paradiso» (S. Alfonso M. de’ Liguori).
La Croce di Cristo è stata valorizzata nella liturgia, amata dai martiri e dai santi, celebrata nell’arte cristiana, evidenziata dai testimoni della carità e riproposta dai maestri di spiritualità. Nell’«Anno della Fede», la sapienza della croce interpella i credenti, il paradosso cristiano pone domande, la parziale vittoria dei potenti sollecita dubbi… L’esempio del Maestro che porta per primo la croce è la grande scuola di formazione del cristiano nel mondo. Ma le difficoltà quotidiane interpellano anche i non-credenti i quali, senza la croce di Cristo, sono sguarniti di fronte al non-senso della vita e di tante singole situazioni problematiche. Due rischi vanno evitati: il fare della croce un simbolo, staccato dalla vicenda di Cristo, il Redentore dell’uomo e il Vivente, oppure il fermarsi alla passione di Gesù senza imparare a guardare i tanti crocifissi in ogni epoca della storia, nei quali egli continua ad essere immolato in una Via Crucis infinita. La genericità o la strumentalizzazione svuotano la croce di Cristo del suo mistero unico e permanente. Il poeta G. Ungaretti ha colto lo stretto rapporto tra croce di Cristo e forza di autentica umanità: «So che l’inferno s’apre sulla terra/ su misura di quanto l’uomo/ si sottrae, folle,/ alla purezza della tua passione./ Cristo, fratello che t’immoli perennemente/ per riedificare umanamente l’uomo… ». La croce è, infatti, la denuncia del nostro essere malvagi, sedotti dal male, peccatori e ingiusti, bisognosi di redenzione. Nella croce si abbracciano la miseria dell’uomo e la misericordia di Dio.
Il vescovo Tonino Bello usa una bella immagine: con la croce piantata sul Calvario come una trivella, Gesù ha scavato un pozzo di acqua abbondante e fresca sulla terra assetata. Il compito di ciascuno è ora di farla venire in superficie, di incanalarla, di proteggerla dagli inquinamenti e di farla giungere a tutti. Il mondo è in fiamme, scriveva Edith Stein, ma al di sopra di tutte le fiamme si erge la croce che non può essere bruciata. Davanti alla croce di Cristo e dei fratelli non ci si può fermare a disquisire né tantomeno nascondere dietro una maschera, non si può “passare oltre” lasciando solo il Crocifisso e i crocifissi.
PREGHIERA
Venerdì santo, giorno di digiuno, in cui desidero partecipare non solo con l’anima, ma anche con il corpo alla tua passione e morte, Gesù. Se riduco il cibo, se mi astengo dall’alcool, è perché voglio destare in me una coscienza lucida e attenta agli avvenimenti che vengono rivissuti nella memoria.
Venerdì santo, giorno dell’ascolto, in cui lasciarmi condurre da un racconto che narra quanto è grande il tuo amore per l’umanità. La menzogna e la cattiveria non riescono ad oscurare la testimonianza che rendi al Padre tuo, davanti al mondo. La determinazione dei tuoi nemici, la paura e la vigliaccheria dei discepoli non incrinano la tua scelta di donarti fino in fondo, secondo la volontà del Padre.
Venerdì santo, giorno di silenzio, per non deturpare con il chiasso, con parole vuote e leggere la contemplazione e l’adorazione, perché mentre le mani toccano le piaghe del tuo corpo dolorante, il cuore sia acceso dal tuo fuoco e vibri di gratitudine per il dono della tua vita che salva l’umanità e la strappa al potere delle tenebre.
Venerdì santo, giorno dell’ascolto, in cui lasciarmi condurre da un racconto che narra quanto è grande il tuo amore per l’umanità. La menzogna e la cattiveria non riescono ad oscurare la testimonianza che rendi al Padre tuo, davanti al mondo. La determinazione dei tuoi nemici, la paura e la vigliaccheria dei discepoli non incrinano la tua scelta di donarti fino in fondo, secondo la volontà del Padre.
Venerdì santo, giorno di silenzio, per non deturpare con il chiasso, con parole vuote e leggere la contemplazione e l’adorazione, perché mentre le mani toccano le piaghe del tuo corpo dolorante, il cuore sia acceso dal tuo fuoco e vibri di gratitudine per il dono della tua vita che salva l’umanità e la strappa al potere delle tenebre.
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