martedì 19 marzo 2013

472 - NEANCH’IO TI CONDANNO - 17 Marzo 2013 – Vª Domenica di Quaresima

(Isaia 43,16-21 Filippesi 3,8-14 Giovanni 8,1-11)

Sono una ventina le donne protagoniste, ricordate nei vangeli. Fanno una brutta figura solo Erodiade e, in parte, l’ambiziosa madre degli apostoli Giovanni e Giacomo: altrimenti le donne sono esemplari nell’accogliere cordialmente Gesù e la Bella Notizia da lui portata.
Tra tutti e quattro gli evangelisti, Giovanni è quello che dà un maggior valore agli incontri di Gesù con delle donne. È comune a tutte le narrazioni evangeliche affidare l’annuncio della risurrezione a Maria di Magdala (cfr. Mt 28,1; Mc 16,1; Lc 24,10; Gv 20,1), così come è comune il ricordo dell’unzione a Betania, da parte di Maria nei confronti di Gesù: «dovunque sarà proclamato il vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (Mc 14,9; cfr. Mt 26,13; Gv 12,3 ricorda che si tratta di Maria, sorella di Lazzaro). L’incontro con le donne, per il quarto evangelista, non è solo per manifestare il potere taumaturgico di Gesù, ma è per dire qualcosa sulla sua identità e sul suo rapporto con il Padre. Anche l’episodio dell’adultera dunque deve essere collocato dentro questo orizzonte, che fa dell’incontro di Gesù con le donne un momento in cui Gesù rivela qualcosa di sé e del suo rapporto con il Padre.
Si sa che il mondo antico non riteneva la donna degna di attenzione per quanto riguarda la sua dignità sociale e culturale, ambito in cui era ritenuta inaffidabile; la sua considerazione si limitava al ruolo di sposa e madre. Basterebbe ripercorrere molte pagine dell’Antico Testamento per verificare ciò. Fu cosa assolutamente straordinaria che Gesù abbia affidato molto della sua rivelazione del Padre a dei colloqui con delle donne. L’episodio dell’adultera mostra come Gesù ritiene di essere giusto, obbediente alla legge di Dio e, nello stesso tempo, fedele al vangelo di misericordia da lui proclamato.
Gesù, che ha chiara percezione della legge di Dio data a Mosè, non intende annullare la gravità dell’adulterio, perché conosce bene la posta in gioco, tuttavia sa distinguere il peccato dal peccatore e sa che Dio è reso percepibile non solo nell’asserzione delle sue leggi, ma anche nel mostrare la finalità benefica di ogni comandamento divino. Gesù rimane convinto che ogni legge divina resta sempre a favore dell’uomo e, se la legge è chiamata a giudicare, questo non significa immediatamente condannare. Esiste una distanza tra giudizio e condanna. Se Gesù non condanna nessuno, fa però sì che il giusto giudizio recuperi il peccatore alla comunione con Dio e con i fratelli.
Se il giudizio è chiaro, è altrettanto chiaro che Gesù non è venuto a condannare, ma per salvare il mondo (cfr. Gv 12,47). Il gesto di abbassarsi e scrivere per terra continua a suscitare notevole interesse presso gli studiosi. È certo un gesto legato all’abbassarsi di Gesù per terra, al suo rialzarsi e al suo riabbassarsi in attesa che scribi e farisei applichino la sua giusta sentenza: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (v. 7). A Gesù fu chiesta una sentenza di morte in base ad un’applicazione rigida della legge di Mosè, ma egli risponde con un giudizio più autentico: nessuno che si trovi ad essere trasgressore della legge può diventarne il difensore e l’interprete autentico. Infatti ad uno ad uno se ne vanno tutti, perché ciascuno è consapevole del proprio peccato davanti a Dio e sa di aver trasgredito in qualche modo il comandamento divino. Se anch’io sono trasgressore, non posso lapidare il mio fratello, perché anch’io subirei la stessa sorte. Il peccato rimane tale nella sua malizia intrinseca, ma il peccatore si ritrova capace di comprendere la bontà della legge divina che non condanna nessuno, ma a tutti chiede di essere obbedita.

PREGHIERA
Quel giorno, Gesù, si illudevano di averti messo all’angolo: in un caso come nell’altro non ne saresti uscito senza prestare il fianco a grosse critiche. Una condanna avrebbe dimostrato che in fondo giudicavi come gli altri e applicavi la legge senza fiatare. Un’assoluzione ti avrebbe attirato l’accusa di essere un lassista, che infrangeva impunemente la legge del Signore.
Tu rinvii a loro la terribile decisione: se hanno tanto amore per i comandamenti di Dio, si assumano la responsabilità di lanciare le prime pietre, come testimoni.
Lanci loro, però, un avvertimento preciso (che oggi raggiunge anche noi): badino bene ad esaminare attentamente la loro coscienza perché non si può condannare qualcuno per amore della Legge, se la si è calpestata impunemente commettendo dei peccati.
È così che liberi quella donna dal cerchio dei suoi accusatori e le doni la possibilità di un percorso nuovo, di un’esistenza segnata per sempre dalla misericordia di Dio.

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