“4Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. 5Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. 6Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. 7Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. 8È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. 9Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?”
In questo “terzo canto” del Servo di YHWH il tema dell’insuccesso, presente in Isaia 49,1-6, è accentuato: il profeta incontra ostilità e persecuzioni fino alla violenza. La sua vocazione, che ha tratti anche sapienziali, lo qualifica come un discepoli che, per dono e missione del Signore Dio, trasmette la Parola agli scoraggiati e ai dubbiosi. Solo in quanto resta un discepolo ogni giorno proteso all’ascolto, il profeta può essere vero maestro: egli non dispone della Parola a suo piacimento.
Consapevole fin dall’inizio delle esigenze della chiamata, il Servo non oppone resistenza a Dio; e il pieno consenso dato lo rende forte e mansueto di fronte ai persecutori: non si è sottratto alla Parola e non indietreggia di fronte all’ingiuria e alla violenza di coloro che vorrebbero zittirla, riducendolo al silenzio (vv.6-7). La sofferenza non lo piega e non lo disorienta. Il profeta confida nell’aiuto di Dio; egli stesso lo giustificherà davanti agli avversari: nessuno potrà dimostrare colpevole il suo Servo, testimone fedele e verace della Parola (vv. 7-9).
In questo “terzo canto” del Servo di YHWH il tema dell’insuccesso, presente in Isaia 49,1-6, è accentuato: il profeta incontra ostilità e persecuzioni fino alla violenza. La sua vocazione, che ha tratti anche sapienziali, lo qualifica come un discepoli che, per dono e missione del Signore Dio, trasmette la Parola agli scoraggiati e ai dubbiosi. Solo in quanto resta un discepolo ogni giorno proteso all’ascolto, il profeta può essere vero maestro: egli non dispone della Parola a suo piacimento.
Consapevole fin dall’inizio delle esigenze della chiamata, il Servo non oppone resistenza a Dio; e il pieno consenso dato lo rende forte e mansueto di fronte ai persecutori: non si è sottratto alla Parola e non indietreggia di fronte all’ingiuria e alla violenza di coloro che vorrebbero zittirla, riducendolo al silenzio (vv.6-7). La sofferenza non lo piega e non lo disorienta. Il profeta confida nell’aiuto di Dio; egli stesso lo giustificherà davanti agli avversari: nessuno potrà dimostrare colpevole il suo Servo, testimone fedele e verace della Parola (vv. 7-9).
Quarto canto del Servo di YHWH – Isaia 52,13-53,12
“52-13Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. 14Come molti si stupirono di lui - tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo -, 15così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito.53-1 Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? 2È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. 3Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. 4Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. 5Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. 6Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. 7Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. 8Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. 9Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. 10Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. 11Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. 12Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli”.
Il “quarto canto” del Servo di YHWH (che si legge il Venerdì santo) mostra l’esito glorioso del suo mite patire che diventa fonte di salvezza per le moltitudini. Di Lui ci parla la comunità di cui il profeta si fa voce confessando l’incomprensione totale nella quale si è consumato il dolore del Servo: un’incomprensione passata dall’indifferenza al disprezzo, dal giudizio al sopruso legittimato. Ma egli tace.
Non attira l’attenzione con lo splendore dell’aspetto (segno della benedizione divina), ne con la luminosità della dottrina: “ ben conosce il patire”, ma questa non è materia di insegnamento. Silente nell’umiliazione, nell’oppressione, nella condanna a morte, fino ad una sepoltura infame. Solo quando il suo sacrificio di espiazione è consumato, la comunità – da esso purificata – comprende l’inconcepibile disegno di Dio. Il castigo, quale sofferenza purificatrice, presuppone una colpa; ma qui, per la prima volta, viene mostrato apertamente qualcosa di diverso: il mistero della “sofferenza vicaria”. Il peccato è nostro (ci riconosciamo senza difficoltà nel “noi” del testo), ma chi soffre per espiarlo non siamo noi, bensì il Servo innocente.
Questa è la volontà di Dio che si compie nel Servo. È la giustizia divina che ha nome “misericordia”. È la promessa – sfolgorata come lampo nell’Antico Testamento – della luce e della glorificazione, dopo le tenebre e l’umiliazione.
“52-13Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. 14Come molti si stupirono di lui - tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo -, 15così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito.53-1 Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? 2È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. 3Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. 4Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. 5Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. 6Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. 7Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. 8Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. 9Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. 10Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. 11Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. 12Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli”.
Il “quarto canto” del Servo di YHWH (che si legge il Venerdì santo) mostra l’esito glorioso del suo mite patire che diventa fonte di salvezza per le moltitudini. Di Lui ci parla la comunità di cui il profeta si fa voce confessando l’incomprensione totale nella quale si è consumato il dolore del Servo: un’incomprensione passata dall’indifferenza al disprezzo, dal giudizio al sopruso legittimato. Ma egli tace.
Non attira l’attenzione con lo splendore dell’aspetto (segno della benedizione divina), ne con la luminosità della dottrina: “ ben conosce il patire”, ma questa non è materia di insegnamento. Silente nell’umiliazione, nell’oppressione, nella condanna a morte, fino ad una sepoltura infame. Solo quando il suo sacrificio di espiazione è consumato, la comunità – da esso purificata – comprende l’inconcepibile disegno di Dio. Il castigo, quale sofferenza purificatrice, presuppone una colpa; ma qui, per la prima volta, viene mostrato apertamente qualcosa di diverso: il mistero della “sofferenza vicaria”. Il peccato è nostro (ci riconosciamo senza difficoltà nel “noi” del testo), ma chi soffre per espiarlo non siamo noi, bensì il Servo innocente.
Questa è la volontà di Dio che si compie nel Servo. È la giustizia divina che ha nome “misericordia”. È la promessa – sfolgorata come lampo nell’Antico Testamento – della luce e della glorificazione, dopo le tenebre e l’umiliazione.
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