sabato 30 marzo 2013

477 - 28 Marzo 2013 – TRIDUO PASQUALE - Giovedì santo – L’istituzione dell’Eucaristia

La Chiesa vive e trasmette «ciò che ha ricevuto dal Signore», il dono dell’Eucaristia. Questa non è il frutto di una programmazione pastorale o della legislazione della Chiesa. È il segno della presenza del Signore nel tempo e nella storia, è la manifestazione della sua contemporaneità a ciascuno nella Chiesa, è la certezza del suo accompagnamento nel cammino del nuovo popolo di Dio.
È facile oggi criticare la Chiesa, ma un merito le va riconosciuto: di aver continuato a celebrare, da venti secoli, l’appuntamento domenicale, memoriale della Pasqua del Signore. Sempre i fedeli sono stati convocati per incontrare il Signore. Come per apprendere una poesia occorre ripeterla molte volte, così la ripetizione dell’eucaristia festiva è condizione per assimilarne il Mistero che racchiude. Nella sua storia bimillenaria la Chiesa esprime una grande sapienza nel chiedere ai fedeli non qualcosa di straordinario o la perfezione morale, ma semplicemente di partecipare all’eucaristia domenicale. Come si sta valorizzando questa preziosa eredità, che la Chiesa ha individuato come un ‘precetto’, cioè qualcosa di fondamentale per la vita spirituale? Per taluni si può essere cristiani anche senza partecipare all’eucaristia domenicale; altri, di domenica, privilegiano lo sport o altre occupazioni; altri ancora vivono l’eucaristia come un rito staccato dal resto della vita…
Con l’eucaristia la Chiesa pone l’attenzione non su se stessi o sugli altri, ma su Gesù, presente ed operante. Tutti e tutto, nell’assemblea liturgica, ruotano attorno a Cristo. Prima ancora che sulla propria situazione personale o sulla realtà circostante o sui carismi e limiti dei fratelli, occorre guardare a lui, il Maestro, che dona la sua vita dopo aver lavato i piedi ai discepoli.
C’è uno stretto legame tra il verbo ‘fare’ e l’espressione «memoria di me». Al cristiano non è chiesto di essere superimpegnato, di saper risolvere i problemi del vivere comune o di competere con altre forze del mondo. ‘Cristiano’ è chi vive tutto «per Cristo, con Cristo e in Cristo», chi fa della sintonia con lui il punto di forza della propria giornata ed esistenza. O Cristo c’entra in tutto (affetti, lavoro, studio, difficoltà ecc.) oppure è marginale. L’eucaristia insegna che la Chiesa esiste non anzitutto per essere un «pronto soccorso» per i disagi umani, ma piuttosto il ‘luogo’ in cui è possibile incontrare Cristo. Non ha diritto di partecipare all’eucaristia chi è già bravo, ma si va alla mensa della Parola e del Pane per imparare ad amare e a servire. E con la stessa fedeltà con cui si celebra l’eucaristia occorre vivere la carità. L’eucaristia non è anzitutto un ‘rito’, ma la preparazione all’offerta di sé in Gesù. Questa è la base per ogni scelta matura nella via del matrimonio e della consacrazione. L’eucaristia indica la mèta di tutta la proposta formativa cristiana e plasma la personalità credente, porta frutto e semplifica la vita della comunità.
Il principio attivo dell’eucaristia, che la tradizione cristiana ha definito «farmaco d’immortalità», è la vita e la comunione. L’amore all’insieme deve essere più grande dell’amore alla parte. Cristo è sorgente di riconoscimento e di dialogo tra fratelli di fede, di unità e di condivisione in Gesù, pur nella molteplicità delle modalità. Gruppi, parrocchie e movimenti non possono vivere in tensione fra loro, perché il medesimo Verbo-Pane precede ogni altra appartenenza, servizio e finalità. Gesù prima lava i piedi agli apostoli e poi chiede loro di fare altrettanto. La testimonianza è generata dall’amore a Cristo, dalla sovrabbondanza dell’adesione al Signore scaturisce spontaneamente la missione: chi ha Cristo nel cuore non può tacerlo. L’eucaristia forma degli innamorati di Cristo e non degli operai di Cristo.
La Chiesa sgorga dal Cristo che si dona: non è un progetto stabilito a tavolino, non abbisogna di grandi mezzi, non dipende dalle qualità di chi vi aderisce. Per far parte della Chiesa c’è un’unica condizione: amare Cristo e, in lui, i fratelli. Il criterio non è psicologico, funzionale od organizzativo, ma fondativo: il ‘seguire’ il Signore, l’innestarsi in Colui che ama senza misura e trasforma la vita con un ‘di più’ di oblatività e di apertura.
Nell’Eucaristia avviene la massima interiorizzazione di Dio, che si fa intimo di ciascuno («Mangiate e bevete») e la sua maggiore universalizzazione («Mangiatene tutti!... Per voi e per tutti»). Nell’esortazione apostolica Sacramentum Caritatis Benedetto XVI usa l’immagine della «fissazione nucleare» per indicare un cambiamento destinato a «suscitare un processo di trasformazione della realtà, il cui termine ultimo sarà la trasmazione del mondo intero, fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti» (n. 11). Il cristiano è chiamato a «vivere secondo la domenica», cioè ponendo Gesù come la stella polare della libertà umana, nella convivialità fraterna perché la fede implica sempre una compagnia, nel riposo che relativizza ogni attività finalizzandola sempre all’uomo, nella scelta preferenziale degli ultimi e nell’impegno a cambiare le situazioni indegne dell’uomo.
Il Concilio Vaticano II ha puntato molto sulla riforma della liturgia, non come estetismo, ma come modalità con cui l’amore di Dio in Cristo raggiunge ed affascina l’uomo. I santi e i maestri di spiritualità sono unanimi nell’affermare che la miglior catechesi sull’eucaristia è la stessa eucaristia ben celebrata. Proprio questa rende vera la parrocchia, la mantiene giovane e ne fa il luogo dell’accompagnamento alla fede e alla vita, all’amore e al dolore, al discernimento e alla speranza. Ecco perché ci si dovrebbe preparare all’eucaristia domenicale come ci si prepara ad incontrare la persona amata.
Lo scrittore Luigi Santucci ha confessato che, potendo scegliere tra le reliquie della Passione, raccoglierebbe quel catino di acqua sporca usato da Gesù nell’Ultima Cena per lavare i piedi dei discepoli. E annota: «Girare il mondo con quel recipiente sotto il braccio, guardare solo i talloni della gente; e ad ogni piede cingermi l’asciugatoio, curvarmi giù, non alzare mai gli occhi sopra i polpacci, così da non distinguere gli amici dai nemici. Lavare i piedi all’ateo, al cocainomane, al mercante d’armi, all’assassino del ragazzo nel canneto, allo sfruttatore della prostituta nel vicolo, al suicida, in silenzio. Finché abbiano capito». L’eucaristia, che è la pietra preziosa da cercare e il tesoro nascosto da trovare, educa a non arrendersi alla mediocrità. Ecco perché tutti i santi, così affamati di eucaristia, hanno amato la vita, ma si sono innamorati dell’impossibile. Né nani né giganti: semplicemente servitori nel laboratorio della globalizzazione della solidarietà e della carità.

PREGHIERA 
Anch’io, Signore, ti ripeto le stesse parole di Pietro: «Tu lavi i piedi a me?». Gesù, non posso accettare che tu sia il mio servo, che tu ti inginocchi davanti a me, che compia questo gesto sgradevole ed umiliante, destinato agli schiavi. Gesù, non voglio apparire con i miei piedi sporchi, con le mie membra sudice, non me la sento di stare in questa posizione comoda e di vederti piegato a terra per lavarmi e liberarmi da tutto ciò che deturpa questa mia esistenza. Gesù, non sono disposto a far cadere ogni mia difesa, a togliermi ogni maschera, a rivelarti quello che sono veramente per lasciarmi amare così, abbandonandomi alla tua misericordia senza alcuna resistenza, senza alcuna remora.
Ma tu mi riservi la stessa risposta che hai dato a Pietro: non potrò partecipare al Regno se non mi affido totalmente a te, se non metto nelle tue mani questa mia vita per lasciarla trasfigurare dalla tua luce e dalla tua pace.

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