La celebrazione pasquale è il cuore dell’anno liturgico. I primi cristiani la celebravano durante la notte. Una liturgia semplice, all’inizio (un’assemblea in preghiera con la frazione del pane e l’agape fraterna), che durante i secoli si è arricchita di significato e di nuovi elementi. Sant’Agostino invitava i suoi fedeli ad essere svegli «in questa veglia che è come la madre di tutte le veglie e nella quale tutto il mondo veglia» (Sermone 219,1). E ancora: «Che cosa si poteva fare di più conveniente, se non ripetere con la nostra veglia il suo risveglio dai morti?» (Sermone 221,3).
La risurrezione del Signore trascende ogni prospettiva di sopravvivenza e di prolungamento della vita terrena, inaugurando un modo nuovo di esistenza. Non può meravigliarsi della Pasqua chi non prende seriamente l’annientamento della morte e la «discesa di Cristo agli inferi», ricordata nel Simbolo della fede battesimale: Gesù sfiora tutto ciò che è morto e imputridito, seminando la primavera della speranza. Il Figlio dell’Altissimo scende fino a toccare il fondo delle nostre miserie, perché si è fatto peccato per schiacciare i nostri peccati. Discende nel profondo, nel regno degli inferi per portare a coloro che sono morti prima di lui il messaggio della salvezza e della compassione di Dio. Sembra giacere chiuso in un sepolcro, ma in realtà sta operando come lievito nella storia e sta portando la luce a quanti giacciono nell’ombra della morte. Cristo non è mai inoperoso.
Vivere «come se Dio non ci fosse» non è più avvertito da tanti come un’esperienza angosciante, ma ovvia, attenuata dalla frenetica dispersione degli impegni, dalla smania del possesso e dalla ricerca dell’apparenza. Per chi crede, il grande silenzio di questa giornata è attesa mite e paziente, è segno di resistenza al nulla, è spogliazione di presunzione e di domande. Il Sabato santo è cerniera perenne tra la croce e la risurrezione, l’incontro del passato e del futuro nel presente di Dio in Cristo, la veglia della Chiesa sentinella del mattino di Pasqua. Don Tonino Bello scriveva: «Dal Calvario al sepolcro vi sono venti metri appena. Un percorso brevissimo. Però è il più lungo per chi deve fare un itinerario di fede». La morte sembrava vittoriosa, ma Cristo l’ha schiacciata con la sua croce. Cristo diviene la porta che apre una nuova strada per arrivare a Dio e inaugura una nuova via per la vita dell’uomo. Egli è veramente Colui che «ha il potere di dare la sua vita e di riprenderla» (Gv 10,17-18). Non è più un freddo cadavere, ma il Figlio di Dio pienamente vivo ed operante.
Il testo evangelico di questa notte santa (Luca 24,1-12) annota che è ancora buio sul mondo, quando le donne vanno al sepolcro con gli aromi, per portare a compimento l’unzione del corpo di Gesù, come antidoto alla precoce consumazione. La pietra rotolata via e la tomba vuota sono un primo segno; il corpo che non si trova, il secondo. Nel sepolcro non c’è più la spoglia di un morto, ma le spoglie della morte. Pietro non crede ancora alla risurrezione: solo si meraviglia. Non è ancora fede: un sepolcro vuoto e le bende a terra non bastano per suscitare la fede: questa è incontro personale col Risorto, il quale non ha bisogno di unguenti per essere imbalsamato, è «il Vivente», sempre.
Le “pulizie di Pasqua” devono iniziare dal nostro cuore. Non basta essere nati in un paese di tradizione cristiana per essere davvero ‘cristiani’. Si è tali solo se Cristo è presenza viva in noi. Dobbiamo farlo uscire dal sepolcro in cui lo abbiamo rinchiuso, liberarlo dalle bende dei nostri pregiudizi, togliere la pietra dei nostri rancori e delle nostre frustrazioni. La risurrezione di Gesù è una vita trasfigurata, «una vita che ha inaugurato una nuova dimensione dell’essere uomini… una sorta di “mutazione decisiva”, un salto di qualità» (Benedetto XVI).
All’alba del giorno dopo il sabato, inizia un imprevedibile movimento di persone, coinvolte in un’esperienza più grande di loro. La fede rinasce più viva e più forte: di Gesù ci si può fidare pienamente. Si dà l’impressione di cercare ancora (e di far cercare) Cristo tra i morti quando ci si appella a un Dio lamentoso e triste, distaccato e legislatore, innocuo per il nostro vivere quotidiano.
La Pasqua è il dono che cambia la condizione dell’uomo e del mondo, l’incontro con un Uomo unico, che fa sperimentare tutta la bontà e la verità di Dio; è il segno che solo Dio libera dal male non in modo superficiale e momentaneo, offrendo la possibilità reale di una vita buona. La ricchezza della Pasqua non dipende dagli indici della borsa e non è soggetta a nessuna variazione di mercato. Alla Via Crucis subentra la Via Lucis, un percorso di quattordici tappe dal sepolcro vuoto alla Pentecoste.
Un primo segno pasquale è coltivare maggiormente la propria fede come “differenza cristiana” da una spiritualità generica e poco impegnativa. Un secondo modo per vivere la Pasqua è narrare con un cuore solo e un’anima sola tale Buona Notizia, svelando con la propria vita che «il solo e vero peccato è rimanere insensibili alla Risurrezione» (Isacco il Siro). Un’altra testimonianza è praticare la “cultura della vita”, scovando nel proprio ambiente vitale persone per le quali la ‘risurrezione’ può riprodursi e attuarsi attraverso il suo gesto d’affetto, una parola di vicinanza, un ascolto partecipe. Anche favorire la speranza e non la lamentela caratterizza lo stile cristiano di vita. Un ulteriore modo è proclamare la propria fede «nella risurrezione della carne», cioè riconoscere che anche i nostri corpi non sono destinati alla corruzione, ma a una pienezza di vita.
Il messaggio di Pasqua coglie tutti di sorpresa: le donne, le prime annunciatrici di quell’evento carico di speranza, non sono credute. Ieri, come oggi, non è facile credere che il motore della storia sia l’amore di colui che sulla croce stende le braccia per fare da ponte tra la morte e la vita. Infatti, Pasqua è ‘passaggio’, cioè rinascita e rinnovamento, risanamento interiore e liberazione dalla paura. Gesù è il risuscitato e il risuscitante.
Hanno bisogno di Pasqua l’organizzazione sociale e il mondo del lavoro, la precarietà delle relazioni e la fragilità delle famiglie, il disorientamento di molti. La Pasqua ha un forte valore educativo: fa ricuperare la misura alta della vita, aiuta ad uscire dalla mediocrità e dalla paura, conferma che l’impossibile può diventare realtà e chiede a ciascuno di non essere spettatore, ma umile attore del mondo nuovo. Pasqua è credere non tanto nell’avvenire (previsto e assicurato) quanto nel futuro dell’uomo, che Dio prepara.
Questa notte, rinnoviamo il battesimo ricevuto e forse non sempre vissuto e invochiamo i santi, apripista di una nuova strada nel deserto del mondo. Siamo consapevoli di quanto diversa potrebbe essere la nostra vita, se fosse un po’ più pasquale e meno succube della mentalità corrente. L’accendere l’uno il cero dell’altro alla medesima luce di Cristo significa sostenersi a vicenda nella fede: è il primo e il più urgente servizio, in questo «Anno della Fede». La Pasqua genera l’ecologia del cuore, da cui vengono frutti nuovi e trova il suo pieno compimento quando una persona, convinta interiormente della verità di ciò che ha ascoltato, proclama Gesù come suo personale Signore e Salvatore. Esce allo scoperto, prende la decisione che dà un senso e un orientamento nuovi alla sua vita, facendo di lui un ‘salvato’.
Preghiamo insieme con le parole del cardinale Suenens: «Donaci, Signore, occhi per vedere, un cuore per amare e tanto fiato. Abbiamo bisogno dei tuoi occhi: dacci una fede viva. Abbiamo bisogno del tuo cuore: dacci una carità a tutta prova. Abbiamo bisogno del tuo soffio: donaci la tua speranza, per noi e per la tua Chiesa». Così ci potremo augurare a vicenda «Buona Pasqua»!
PREGHIERA
La risurrezione del Signore trascende ogni prospettiva di sopravvivenza e di prolungamento della vita terrena, inaugurando un modo nuovo di esistenza. Non può meravigliarsi della Pasqua chi non prende seriamente l’annientamento della morte e la «discesa di Cristo agli inferi», ricordata nel Simbolo della fede battesimale: Gesù sfiora tutto ciò che è morto e imputridito, seminando la primavera della speranza. Il Figlio dell’Altissimo scende fino a toccare il fondo delle nostre miserie, perché si è fatto peccato per schiacciare i nostri peccati. Discende nel profondo, nel regno degli inferi per portare a coloro che sono morti prima di lui il messaggio della salvezza e della compassione di Dio. Sembra giacere chiuso in un sepolcro, ma in realtà sta operando come lievito nella storia e sta portando la luce a quanti giacciono nell’ombra della morte. Cristo non è mai inoperoso.
Vivere «come se Dio non ci fosse» non è più avvertito da tanti come un’esperienza angosciante, ma ovvia, attenuata dalla frenetica dispersione degli impegni, dalla smania del possesso e dalla ricerca dell’apparenza. Per chi crede, il grande silenzio di questa giornata è attesa mite e paziente, è segno di resistenza al nulla, è spogliazione di presunzione e di domande. Il Sabato santo è cerniera perenne tra la croce e la risurrezione, l’incontro del passato e del futuro nel presente di Dio in Cristo, la veglia della Chiesa sentinella del mattino di Pasqua. Don Tonino Bello scriveva: «Dal Calvario al sepolcro vi sono venti metri appena. Un percorso brevissimo. Però è il più lungo per chi deve fare un itinerario di fede». La morte sembrava vittoriosa, ma Cristo l’ha schiacciata con la sua croce. Cristo diviene la porta che apre una nuova strada per arrivare a Dio e inaugura una nuova via per la vita dell’uomo. Egli è veramente Colui che «ha il potere di dare la sua vita e di riprenderla» (Gv 10,17-18). Non è più un freddo cadavere, ma il Figlio di Dio pienamente vivo ed operante.
Il testo evangelico di questa notte santa (Luca 24,1-12) annota che è ancora buio sul mondo, quando le donne vanno al sepolcro con gli aromi, per portare a compimento l’unzione del corpo di Gesù, come antidoto alla precoce consumazione. La pietra rotolata via e la tomba vuota sono un primo segno; il corpo che non si trova, il secondo. Nel sepolcro non c’è più la spoglia di un morto, ma le spoglie della morte. Pietro non crede ancora alla risurrezione: solo si meraviglia. Non è ancora fede: un sepolcro vuoto e le bende a terra non bastano per suscitare la fede: questa è incontro personale col Risorto, il quale non ha bisogno di unguenti per essere imbalsamato, è «il Vivente», sempre.
Le “pulizie di Pasqua” devono iniziare dal nostro cuore. Non basta essere nati in un paese di tradizione cristiana per essere davvero ‘cristiani’. Si è tali solo se Cristo è presenza viva in noi. Dobbiamo farlo uscire dal sepolcro in cui lo abbiamo rinchiuso, liberarlo dalle bende dei nostri pregiudizi, togliere la pietra dei nostri rancori e delle nostre frustrazioni. La risurrezione di Gesù è una vita trasfigurata, «una vita che ha inaugurato una nuova dimensione dell’essere uomini… una sorta di “mutazione decisiva”, un salto di qualità» (Benedetto XVI).
All’alba del giorno dopo il sabato, inizia un imprevedibile movimento di persone, coinvolte in un’esperienza più grande di loro. La fede rinasce più viva e più forte: di Gesù ci si può fidare pienamente. Si dà l’impressione di cercare ancora (e di far cercare) Cristo tra i morti quando ci si appella a un Dio lamentoso e triste, distaccato e legislatore, innocuo per il nostro vivere quotidiano.
La Pasqua è il dono che cambia la condizione dell’uomo e del mondo, l’incontro con un Uomo unico, che fa sperimentare tutta la bontà e la verità di Dio; è il segno che solo Dio libera dal male non in modo superficiale e momentaneo, offrendo la possibilità reale di una vita buona. La ricchezza della Pasqua non dipende dagli indici della borsa e non è soggetta a nessuna variazione di mercato. Alla Via Crucis subentra la Via Lucis, un percorso di quattordici tappe dal sepolcro vuoto alla Pentecoste.
Un primo segno pasquale è coltivare maggiormente la propria fede come “differenza cristiana” da una spiritualità generica e poco impegnativa. Un secondo modo per vivere la Pasqua è narrare con un cuore solo e un’anima sola tale Buona Notizia, svelando con la propria vita che «il solo e vero peccato è rimanere insensibili alla Risurrezione» (Isacco il Siro). Un’altra testimonianza è praticare la “cultura della vita”, scovando nel proprio ambiente vitale persone per le quali la ‘risurrezione’ può riprodursi e attuarsi attraverso il suo gesto d’affetto, una parola di vicinanza, un ascolto partecipe. Anche favorire la speranza e non la lamentela caratterizza lo stile cristiano di vita. Un ulteriore modo è proclamare la propria fede «nella risurrezione della carne», cioè riconoscere che anche i nostri corpi non sono destinati alla corruzione, ma a una pienezza di vita.
Il messaggio di Pasqua coglie tutti di sorpresa: le donne, le prime annunciatrici di quell’evento carico di speranza, non sono credute. Ieri, come oggi, non è facile credere che il motore della storia sia l’amore di colui che sulla croce stende le braccia per fare da ponte tra la morte e la vita. Infatti, Pasqua è ‘passaggio’, cioè rinascita e rinnovamento, risanamento interiore e liberazione dalla paura. Gesù è il risuscitato e il risuscitante.
Hanno bisogno di Pasqua l’organizzazione sociale e il mondo del lavoro, la precarietà delle relazioni e la fragilità delle famiglie, il disorientamento di molti. La Pasqua ha un forte valore educativo: fa ricuperare la misura alta della vita, aiuta ad uscire dalla mediocrità e dalla paura, conferma che l’impossibile può diventare realtà e chiede a ciascuno di non essere spettatore, ma umile attore del mondo nuovo. Pasqua è credere non tanto nell’avvenire (previsto e assicurato) quanto nel futuro dell’uomo, che Dio prepara.
Questa notte, rinnoviamo il battesimo ricevuto e forse non sempre vissuto e invochiamo i santi, apripista di una nuova strada nel deserto del mondo. Siamo consapevoli di quanto diversa potrebbe essere la nostra vita, se fosse un po’ più pasquale e meno succube della mentalità corrente. L’accendere l’uno il cero dell’altro alla medesima luce di Cristo significa sostenersi a vicenda nella fede: è il primo e il più urgente servizio, in questo «Anno della Fede». La Pasqua genera l’ecologia del cuore, da cui vengono frutti nuovi e trova il suo pieno compimento quando una persona, convinta interiormente della verità di ciò che ha ascoltato, proclama Gesù come suo personale Signore e Salvatore. Esce allo scoperto, prende la decisione che dà un senso e un orientamento nuovi alla sua vita, facendo di lui un ‘salvato’.
Preghiamo insieme con le parole del cardinale Suenens: «Donaci, Signore, occhi per vedere, un cuore per amare e tanto fiato. Abbiamo bisogno dei tuoi occhi: dacci una fede viva. Abbiamo bisogno del tuo cuore: dacci una carità a tutta prova. Abbiamo bisogno del tuo soffio: donaci la tua speranza, per noi e per la tua Chiesa». Così ci potremo augurare a vicenda «Buona Pasqua»!
PREGHIERA
Ecco la veglia, Signore Gesù, che apre il cuore alla speranza e lo strappa ad ogni paura, ad ogni ombra e ad ogni timore.
Con la tua risurrezione tu ci doni il fuoco che brucia ogni fragilità e ogni resistenza,
che accende il profondo dell’anima, che riscalda e risveglia ad una nuova vita. Con la tua risurrezione tu ci offri una luce: le tenebre non ci spaventano perché tu rischiari il nostro cammino e ci fai intravedere il senso della storia. Ci conduci verso il giorno in cui il progetto di Dio giungerà a compimento. Con la tua risurrezione tu ci fai intendere una parola che unisce l’antica e la nuova alleanza, la creazione e la redenzione, la legge e la grazia in unico, grande racconto di salvezza. Con la tua risurrezione tu ci fai giungere un’acqua che rigenera a vita nuova, che disseta la nostra arsura e ci fa partecipare ad una comunione divina, che trasforma i nostri giorni e ci fa accedere ad una nuova identità. Con la tua risurrezione tu ci inviti
alla mensa del Pane di vita, pane che ci sostiene nel nostro pellegrinaggio, pane che nutre il nostro desiderio, pane che sfama le attese più profonde.
Ecco la veglia, Signore Gesù, in cui cantare l’Alleluja pasquale che percorre le arterie della storia.
Con la tua risurrezione tu ci doni il fuoco che brucia ogni fragilità e ogni resistenza,
che accende il profondo dell’anima, che riscalda e risveglia ad una nuova vita. Con la tua risurrezione tu ci offri una luce: le tenebre non ci spaventano perché tu rischiari il nostro cammino e ci fai intravedere il senso della storia. Ci conduci verso il giorno in cui il progetto di Dio giungerà a compimento. Con la tua risurrezione tu ci fai intendere una parola che unisce l’antica e la nuova alleanza, la creazione e la redenzione, la legge e la grazia in unico, grande racconto di salvezza. Con la tua risurrezione tu ci fai giungere un’acqua che rigenera a vita nuova, che disseta la nostra arsura e ci fa partecipare ad una comunione divina, che trasforma i nostri giorni e ci fa accedere ad una nuova identità. Con la tua risurrezione tu ci inviti
alla mensa del Pane di vita, pane che ci sostiene nel nostro pellegrinaggio, pane che nutre il nostro desiderio, pane che sfama le attese più profonde.
Ecco la veglia, Signore Gesù, in cui cantare l’Alleluja pasquale che percorre le arterie della storia.