sabato 25 agosto 2012

421 - IL PASTO COME RITO DEL’EUCARISTIA

Per una pausa spirituale durante la XXª Settimana del Tempo ordinario

Il pasto è l’atto fondamentale della celebrazione eucaristica. Ma di che atto si tratta? Se si osserva la storia dell’umanità si può notare che il pasto svolge due ruoli: uno di tipo biologico e l’altro di tipo culturale. La prima osservazione, del tutto ovvia, è che l’uomo appartiene al mondo biologico e ricorre all’atto del mangiare per conservare e incrementare la vita. La seconda osservazione, chiara a tutti, è che l’uomo si distingue dalle altre specie viventi perché crea cultura, ossia un insieme di comportamenti (fisici e mentali) con i quali tende a trasformare il mondo che lo circonda e a dargli senso. All’interno della cultura troviamo anche le religioni e i loro riti, tra i quali un posto rilevante è occupato dai pasti rituali. In quanto rito, l’atto del mangiare non è più legato solo alle esigenze biologiche, ma anche a quelle culturali. E se nel primo caso si ha il pasto come «alimento della vita», nel secondo caso si ha il pasto come «senso della vita». L’aspetto più importante, però, è l’operazione simbolica svolta dal rito. Noi potremmo pensare (e spesso pensiamo) che per alimentare la vita si deve andare in cucina o al ristorante, ossia in un luogo in cui poter consumare un pasto, mentre per dare senso alla vita si deve andare a scuola o in chiesa, ossia in un luogo in cui si trasmettono delle idee. Il rito, invece, tende a «tenere insieme» le due cose (per questo è «sim-bolico») dato che ricorre al pasto non solo come a un’azione con la quale alimentare la vita, ma anche come a un gesto col quale dare senso alla vita. Non a caso si parla di «nutrimento» fisico (che alimenta la vita) e spirituale (che dà senso alla vita). Il pasto rituale gioca sull’intreccio tra i due tipi di nutrimento, evitando di separare la vita dal senso della vita.

La celebrazione eucaristica è questo intreccio. Potremmo dire che è l’esasperazione di questo intreccio, dato che il fondamento stesso del senso della vita, ossia Gesù Cristo, è ciò di cui ci si nutre. Indubbiamente ci si nutre di Gesù Cristo ascoltando le sue parole e leggendo quello che si è scritto di lui. Eppure un modo fondamentale e irrinunciabile per nutrirsi di Gesù Cristo è mangiare il pane e bere il vino. Non basta leggere un libro (sacro), occorre anche mangiare un pane (consacrato), perché il senso della vita non può limitarsi alla comunicazione verbale, ma deve allargarsi alla comunicazione non verbale. Solo così infatti viene coinvolto tutto l’uomo e non solo una sua parte. Qui emerge un fatto decisivo, ossia che la fede implica il coinvolgimento di tutto l’uomo: il coinvolgimento di tutti i suoi linguaggi umani (verbali e non verbali) e di tutte le sue dimensioni (la vita e il senso della vita). La celebrazione eucaristica, in quanto pasto come rito, corrisponde alle esigenze della fede. Per comprendere meglio tale corrispondenza occorre tenere presenti altri aspetti del pasto e del rito.

Un aspetto quanto mai evidente è quello relativo alla dimensione conviviale del pasto. Il fatto che per mille motivi ci si trovi spesso a mangiare da soli non deve portare a sottovalutare questo aspetto. In primo luogo, proprio quando si è costretti a mangiare spesso da soli si possono comprendere meglio le caratteristiche del mangiare in compagnia di altre persone. In secondo luogo, è abbastanza ingenuo pensare di mangiare completamente da soli dato che il cibo consumato è un più o meno consapevole richiamo ad altre persone inevitabilmente coinvolte. Non si deve dimenticare che il cibo consumato dagli uomini non è mai solo ciò che fornisce la natura (per esempio il coniglio) ma sempre anche il risultato di attività legate alle capacità culturali dell’uomo (cuocere il coniglio). In altri termini, per l’uomo il pasto è sempre anche un fatto socio-culturale che implica il riferimento a una qualche comunità di appartenenza. Ovviamente l’esperienza della convivialità esige qualcosa di più, ossia la presenza reale di persone con le quali si condivide il pasto. Ed è questo un punto centrale del rito che è sempre un fenomeno ecologico e sociologico: ecologico perché coinvolge l’ambiente naturale (gli elementi dell’ambiente), sociologico perché coinvolge le relazioni umane (la preparazione e lo scambio degli elementi). E così, se il pasto come rito implica la stretta relazione tra «alimentare la vita» e «dare senso alla vita», ora emerge che il luogo originario di tale relazione è la comunità.

Un altro aspetto rilevante del pasto è quello dell’ospitalità. L’essere invitati a pranzo da qualcuno costituisce non solo un fenomeno riscontrabile ovunque, ma particolarmente rilevante nel caso del rito. Anzitutto proprio quando il pasto si consuma in un contesto di ospitalità, i commensali (tanto gli invitanti quanto gli invitati) adottano comportamenti rituali che agevolano i rapporti sociali. Inoltre nei contesti religiosi la forma rituale del pasto assume particolare rilevanza, dato che deve salvaguardare i rapporti tra l’uomo e Dio. Infine nell’ambito della liturgia cristiana, e più precisamente dell’eucaristia, il pasto concerne i rapporti tra l’uomo e Dio nel duplice versante del culto che l’uomo rende a Dio e del dono che Dio fa all’uomo. Tornando al tema dell’ospitalità, si può affermare che nella celebrazione eucaristica è Dio a invitare l’uomo. Indubbiamente è la Chiesa che celebra l’eucaristia, ed è stato Gesù il primo a compiere il gesto che ne è all’origine. Non si può dimenticare però il contesto pasquale di questo gesto, ossia il contesto nel quale Gesù si consegna al Padre, consentendo a Dio di compiere la sua opera. Sotto questo profilo la celebrazione eucaristica è il pasto trascritto in un rito che comunica l’esperienza dell’essere anticipati: l’uomo è anticipato da Dio.

Il tema dell’anticipazione non riguarda solo il passato, ma anche il futuro. Qui emerge un ulteriore aspetto rilevante del pasto: il banchetto escatologico. Su questo punto sarebbe opportuno non trascurare il legame tra il regno di Dio e il pasto. Un’affrettata spiegazione del banchetto escatologico come linguaggio puramente metaforico, finisce per sottovalutare una dimensione fondamentale della fede cristiana che si fonda sulla risurrezione di Gesù Cristo. Secondo i racconti evangelici, il Risorto è un corpo che presenta delle notevoli differenze rispetto alla sua condizione precedente (ossia prima della morte), come dimostra il fatto che non viene riconosciuto immediatamente dai discepoli; d’altra parte, quando Gesù vuole certificare ai presenti la sua identità, mostra le ferite, si fa toccare e chiede da mangiare. Il Risorto non è un evanescente essere spirituale, ma un concreto corpo vivente. Il tema del banchetto escatologico mantiene fede a questa natura profonda della risurrezione, secondo la quale l’uomo che vive in eterno è un corpo.

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