Per
una pausa spirituale durante la XVIIIª Settimana del Tempo ordinario
La liturgia della Parola di domenica chiama in causa, tra le altre
cose, il nostro modo di pregare. E lo fa ponendoci di fronte alla preghiera con
cui gli interlocutori di Gesù, dopo aver mangiato il pane che egli ha donato
loro e dopo aver discusso con lui, anche polemicamente, gli dicono: «Signore,
dacci sempre questo pane!». Non un pane qualsiasi, ma quello di cui Gesù ha
appena parlato loro. Sono giunti a questa richiesta, dopo aver fatto un
percorso, quasi condotti per mano da lui, dalla sua dialettica, dalle sue
domande, dalla sua sapienza. Al termine della discussione con Gesù i suoi
interlocutori sembrano aver capito che il dono più importante che possono attendersi
da Dio non è il pane di cui hanno appena usufruito, per altro saziandosi;
quello è solo un segno che rinvia ad un altro pane; è destinato a svegliare nel
cuore delle donne e degli uomini un’altra fame, più profonda, benché meno
facile da avvertire e da saziare. Da questo episodio ci sentiamo provocati a
interrogarci su ciò che possiamo domandare a Dio con la nostra preghiera. La risposta
ce la suggerisce il ritornello del salmo responsoriale, che raccoglie
nell’espressione di poche parole ciò che dobbiamo chiedere a Dio: Donaci,
Signore, il pane del cielo.
La preghiera manifesta i desideri del cuore, esprime ciò che ci
preme di più, rende esplicita la gerarchia delle cose che ci interessano. Spesso
c’è un certo ordine nelle attese delle persone comuni, anche tra i credenti: la
salute, il lavoro, la tranquillità familiare, affetti positivi. I più ‘audaci’
inseriscono in questa scala anche la carriera, il successo, il benessere, la
notorietà, la possibilità di affermarsi nella società. Forse anche molti di
quelli che sono andati dietro a Gesù avevano nei suoi confronti delle aspettative
materiali, mondane, legate alla vita di ogni giorno. Esattamente come noi, che
spesso chiediamo a Dio che risolva i nostri problemi quotidiani. Certo questo non
significa che non possiamo chiedere a Dio di guardare alle nostre esigenze
materiali, ma a condizione che non pensiamo a lui come ad una specie di mago
con la bacchetta magica in mano, a risolvere i problemi nostri e del mondo. Le nostre
domande nella preghiera hanno un senso se esprimono la coscienza della nostra
povertà e della nostra piccolezza davanti a Dio, se sono espressione di una
fiducia in lui che è quella dei figli. Allora possiamo dire e chiedere tutto,
perché il cuore di Dio è quello di un padre, davanti al quale si può stare
nella verità della propria esistenza, che può avere anche fame di pane, di lavoro,
di salute, di affetti buoni…
Tutto dipende dall’idea che abbiamo di Dio. Si potrebbe dire: «dimmi
come preghi, e ti dirò in quale Dio credi». Dietro la preghiera che chiede la
soddisfazione dei bisogni più esteriori e materiali, vi è una persona che crede
in un Dio un po’ magico, distributore di miracoli, lontano da quello che Gesù
ci ha presentato nel suo Vangelo. Se preghi pretendendo da Dio il miracolo, credi
nel Dio magico dei pagani; se credi ponendo davanti a Dio con umiltà i bisogni
della tua vita, credi in un Dio che è Padre.
Dal Dio dei miracoli al Dio che è Padre vi è un percorso lungo e
difficile, che non si può fare da soli. Chi ha mangiato il pane dato da Gesù è
rimasto con lui a discutere, a interrogarlo, ad ascoltare le sue parole. Solo
Gesù può aprire altri orizzonti, ci può insegnare ad avere un cuore da figli e
a pregare il Padre come lui.
Frequentare il Signore e la sua parola conduce a riconoscere la
verità delle domande più importanti che si nascondono in noi: il bisogno di un
senso alla vita, la domanda di un amore pieno, l’attesa di una giustizia senza
ombre, il desiderio di una libertà senza confini… Alla scuola del Signore il
cuore si allarga, i desideri si educano e imparano a non riconoscere solo la
fame di pane; le esigenze diventano insaziabili: sono quelle che solo il Pane
che viene dal cielo può soddisfare.
Gesù ci ha insegnato che cosa domandare. La preghiera del Padre
nostro racchiude lo spirito, le parole, le domande che dobbiamo rivolgere
al Padre. Tra esse c’è anche quella del pane quotidiano, ma prima ancora vi è
la richiesta che il Regno di Dio venga per tutti, a cominciare dai poveri, gli
umili, i derelitti; che si realizzi per l’umanità il disegno di amore che Dio
ha pensato per essi; che la volontà di bene e di salvezza che il Padre ha per
il mondo sia fatta, che il perdono che rigenera si diffonda sulla terra anche
per la nostra capacità di perdonare e di amare; che il male non ci travolga… Se
riflettiamo al tenore di queste domande, dobbiamo concludere che Gesù ci
insegna a domandare al Padre l’impossibile, cioè un mondo trasformato secondo la
misura del suo amore. Ma «nulla è impossibile a Dio»: così ci insegna a credere
il Vangelo.
Ciò che possiamo e dobbiamo chiedere a Dio è nell’ordine dell’impossibile,
del divino, dell’eterno. E Gesù ci dice di domandare tutto questo, e con la
fiducia che il Padre ce lo darà. Ma ci interessa tutto questo? Ci interessa
chiedere a Dio di essere coinvolti nel suo pensiero, di essere contagiati dai
suoi desideri, di essere partecipi del suo mondo? Oppure ci interessano solo le
nostre piccole cose di ogni giorno? Ci interessa solo il pane che sazia lo
stomaco o desideriamo il pane del cielo? La liturgia di questa domenica ci
invita a domandarci quanta audacia vi è nei nostri desideri sulla vita e sul
mondo. E ci incoraggia ad osare!
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