sabato 7 luglio 2012

407 - TOCCARE: MANIFESTAZIONE (AMBIGUA?) DELLA FEDE

Per una pausa spirituale durante la XIIIª Settimana del Tempo ordinario

Il pope si rimbocca le maniche accingendosi all’unzione con l’olio dei catecumeni. Il piccolo neonato, spogliato, viene collocato sopra il fonte battesimale per essere unto su tutto il corpo. La mamma collabora reggendo il bambino e spalmando olio: la forza dell’azione. Segue il battesimo per immersione. Un candido lenzuolino accoglie il neobattezzato per detergerne le membra.

Siamo in una chiesa ortodossa, in Bulgaria. Le icone che tappezzano i muri e chiudono l’altare dietro l’iconostasi, il semibuio dell’ambiente, gli abiti liturgici del celebrante e i canti tradizionali contrastano con l’atteggiamento dei partecipanti al rito: abiti all’ultima moda, minigonne e chiacchiericci nelle retrovie. Si tratta effettivamente di un battesimo di un bimbo nato in Italia, da padre romano e madre bulgara.

I genitori sono voluti tornare al paese di origine materna per ritrovare il contesto religioso e umano favorevole al rito tradizionale (come fanno sovente gli italiani emigrati dal sud al nord, quando esprimono il desiderio di ritrovare i luoghi dei propri natali per celebrare le nozze o il battesimo di un figlio).

Ripenso ai battesimi amministrati nella mia chiesa cattolica del nord Italia: il gesto dell’unzione (un piccolo tocco sul collo); l’acqua fatta scendere sul capo stando attento a non bagnare gli occhi; la vesta bianca simbolica posata sul petto e non indossata. Ripenso anche al pane eucaristico: un’ostia così stereotipata da non sembrare più pane (piuttosto ‘polistirolo’) e il vino che non si può assumere comunitariamente per motivi igienici e pratici.

«Metti qua il tuo dito; stendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!» (Gv 20,27). Non è così lontano dal bisogno umano il gesto di toccare. Il bambino vuole toccare gli oggetti per poterli ‘conoscere’ e porta immediatamente ogni cosa alla bocca per poterla anche ‘gustare’.

Quanti milioni di persone saranno sfilate davanti alla statua di S. Pietro in Vaticano perché il dito del piede della statua in bronzo sia stato consumato dai baci e dallo strofinamento?

Oggi in Italia, come altrove nella vecchia Europa, si fa fatica a riempire le chiese alla domenica o nelle altre feste ‘comandate’. Ma quando si distribuiscono il pane di S. Antonio, o le rose di Santa Rita, o l’olio per lenire i mali con l’intercessione di qualche altro Santo, allora si accalca la gente, anziana e anche più giovane. Forse non si ferma molto davanti al tabernacolo e non esprime con gesti esterni la fede nella presenza reale di Cristo nell’ostia consacrata, ma ritorna alle proprie case senza rispetto umano, con l’oggetto di devozione tra le mani o nella borsa. Ne porterà anche ai vicini perché il contatto è già efficace; e andrà a procurarsene anche al di fuori del rito perché il potere è nell’oggetto più che nell’intenzione.

Il corpo umano è oggi molto più esposto e reso pubblico in ogni forma, la privacy è più un assillo legale che una realtà vissuta, e il pudore è rimpiazzato dalla paura di contagio e di promiscuità dannosa. La famigliarità con le manifestazioni fisiche era invece più continua e normale un tempo.

In molte regioni d’Africa la gente vive ancora accalcata nelle capanne; non c’è sala da pranzo, soggiorno, camera da letto, bagno. Il contatto fisico è continuo e la vita è esposta in pubblico.

In Vietnam, nelle immense distese di riso del Mekong, i bambini cavalcano lo zebù che trascina l’erpice, piccoli cocchieri sul pachiderma. E quando rientrano la sera, dormono in cinquanta sul letto di pula.

L’asetticità corrisponderà, in parte, anche alla perdita di influenza reciproca, all’impossibilità di creazione dell’humus vitale? La fede non passerà forse dalla coscienza di essere parte e di dipendere dal corpo comune? Il luogo della fede non sarà davvero il Corpo mistico?

Allora l’incarnazione non è soltanto la via dell’incontro con l’uomo, scelta da Dio creatore in risposta al peccato di Adamo, ma la modalità originale di salvezza perché il dono della vita possa fiorire nell’umanità.

Non sarà forse che senza la mediazione della materia non si può, nella condizione umana, attingere al divino? Due mediazioni veicolano la fede nel mondo degli umani:

– L’incontro con l’altro (il prossimo), mediazione universale condivisa da tutta l’umanità: «Ero nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato…» (Mt 25,31ss.). Questa mediazione raggiunge anche i cosiddetti ‘atei’ e tutti i ‘cercatori della verità’. Il giudizio finale sarà giusto perché non considererà la collocazione storico-geografico-sociale di ciascuno, ma il coinvolgimento con la vita dell’‘Altro’.

– L’incontro con la Chiesa, mediazione storica scelta da Dio Padre nel suo Figlio Gesù Cristo, luce del mondo e maestra di umanità, carica di rughe e di contraddizioni, ma sempre madre. Il paralitico che giace ai bordi della piscina di Betzaida ha bisogno ancora di chi lo immerga nelle acque. Per questo vale il mandato: «Andate e predicate il vangelo a tutte le genti». Un vangelo di vita proposto non da maestri insediati in cattedra, ma da testimoni coerenti e convinti della carità.

La generazione attuale, in Occidente, è il frutto di periodi storici che ne hanno imbastito la stoffa. Benedetto XVI ritorna continuamente sulle radici religiose e classiche dell’Europa, che non dovrebbero essere tradite. Siamo figli di Roma, di Atene, di Gerusalemme…

L’illuminismo e il razionalismo dei secoli dei lumi hanno segnato profondamente il pensiero e anche la prassi dell’uomo ‘moderno’, il quale si trova sollecitato dai messaggi più disparati che gli vengono non più dai vicini dei quali riconosce la voce e l’odore, ma dall’etere, in forma anonima, anche se ti danno del ‘tu’.

Da una parte le prove della scienza ci rendono scettici e sospettosi di fronte a qualsiasi manifestazione che non cada sotto il controllo dei sensi e degli strumenti di osservazione. Dall’altra il fascino dell’irrazionale e la convinzione che si possa andare al di là delle cose sperimentabili spinge l’uomo a cercare oltre, ad aggrapparsi alla medicina magica per riacquistare la salute, a credere nei veggenti e nei manipolatori.

Quando Naaman rispose sdegnato: «Forse i fiumi di Damasco non sono migliori di tutte le acque di Israele?», i servi dissero: «Che cosa ti costa?» (2 Re 5,10-14).

I nostri occhi un giorno vedranno la realtà così com’è: oggi come in uno specchio. Intanto è importante toccare. L’emorroissa, purificata dal dolore di tanti anni di malattia e con la fiducia dei figli, si è accostata al Maestro convinta che il tocco l’avrebbe fatta incontrare con la fonte della salute.

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