sabato 14 luglio 2012

409 - QUANDO L’INCREDULITÀ IMPEDISCE A DIO DI OPERARE

Per una pausa spirituale durante la XIVª Settimana del Tempo ordinario
Spesso e volentieri si pensa che Dio potrebbe e dovrebbe fare «tutto da solo». Si pensa: se c’è Dio, basta che Lui voglia alcune cose, le potrebbe e dovrebbe fare. Invece, sorprendentemente, il vangelo di oggi ci ricorda una verità chiave del cristianesimo: se non esiste una collaborazione da parte dell’uomo, l’azione di Dio non può dispiegarsi. Dice testualmente Marco: «E lì non poteva compiere nessun prodigio…» (Mc 5,5). Gesù, colui che rende presente in terra la signoria del Padre, colui nel quale abita la pienezza della divinità, vorrebbe compiere prodigi anche a Nazareth, sua terra natale; ma non può, anzi – dice il greco – «non poteva», modalità verbale che esprime un’impossibilità che continua nel tempo, che, cioè, (purtroppo) è duratura. Ma per quale ragione Gesù è impossibilitato a compiere prodigi? Che cosa può fermare l’onnipotente presenza della grazia, dell’amore di Dio? Chi mai ha un ‘potere’ simile? È lo stesso vangelo che si premura di spiegare che tale impossibilità ha un nome ben preciso: l’incredulità: «E si meravigliava della loro incredulità» (Mc 5,6). La non fede, dunque, ha la capacità di impedire a Gesù di operare quanto desidererebbe fare. Tant’è che il vangelo precisa come alcune guarigioni Gesù sia riuscito a compierle: «ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì» (Mc 5,5); come a ricordare che la presenza dell’azione di grazia di Dio in Gesù c’è, è presente, non si è bloccata a monte… bensì il suo dispiegamento è in relazione alla fede o non fede di chi la incontra.
Pare importante provare a riflettere su tale tratto della proposta di Gesù. Dio, infatti, avrebbe potuto decidere di agire da solo, indipendentemente dalla volontà dell’uomo; avrebbe, cioè, potuto scegliere di agire nei confronti dell’uomo senza rispettare la sua libertà. Si potrebbe tradurre tutto questo in un’affermazione più o meno siffatta: «siccome lo voglio io – dice Dio –, anche se tu non lo vuoi (uomo), io lo faccio lo stesso». Questo modo avrebbe definito Dio certo onnipotente, grande, forte… ma avrebbe relegato l’uomo a piccola marionetta che subisce l’azione di Dio. Invece Dio ha voluto essere scelto e non subito dall’uomo: Dio è una presenza che non si vuole im-porre a prescindere dal libero consentimento umano, per cui, se Egli viene accolto liberamente (fede), allora può dispiegare tutte le potenzialità del suo essere presente; se Egli non viene accolto (incredulità), allora non può dispiegare tutte le potenzialità del suo essere presente. Detto con i concetti della teologia: se Dio desidera un incontro personale e libero con l’umanità, l’agire di Dio (la sua rivelazione) è possibile solo laddove si dia un’accoglienza da parte di un uomo (la fede). Questo non vuol dire che Dio è condizionato o dipendente dall’uomo in senso assoluto, ma che alla rivelazione appartiene intrinsecamente l’uomo che la riceve: la rivelazione, in altri termini, avviene, diventa realtà, soltanto e sempre là dove c’è la fede di un uomo, laddove cioè l’offerta di incontro (ex parte Dei) trova una corrispondenza nell’accoglienza (ex parte hominis).
Nell’impareggiabile capacità icastica di Agostino, questo tratto decisivo della fede cristiana è così restituito: «Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te» (Agostino, Sermo CLXIX, 13). Esiste, cioè, un agire di Dio che è all’origine di ogni altra possibilità: il fatto di esserci, il fatto di poter essere come uomo non è frutto della decisione dell’uomo e non è in potere dell’uomo nascente. Non per nulla, anche a livello esperienziale, nessuno di noi ‘si nasce’, è all’origine della decisione di nascere; noi ‘nasciamo’, nel senso che qualcun altro ci mette al mondo, qualcun altro prende la decisione senza di noi. Dio, quindi, crea (è l’azione iniziale, primordiale) senza la decisione libera e consapevole dell’uomo ivi interessato.
Ma è proprio quest’atto di decisione iniziale preso da qualcun altro che regala la possibilità all’uomo, poi, di poter decidere di sé: proprio perché ci sono, esercito la mia libertà fino anche a contrastare la volontà di colui che mi ha messo al mondo. Infatti, ciascuno di noi conserva la (triste) possibilità di ribellarsi a Dio, di respingerlo, di «scandalizzarsi» di Lui (Mc 6,3): i nazareni trovano che le parole e le azioni di Gesù sono «pietre di inciampo» (così letteralmente il verbo scandalizzarsi) perché non corrispondono (secondo loro) a quanto un ‘giusto’ Messia dovrebbe fare per tracciare la via diritta; ma proprio questo loro atteggiamento diventa «di inciampo» all’azione salvifica di Gesù, che è impedito di operare come vorrebbe.
Aprirsi a Dio, avere fede, prendersi cura della propria fede, continuare a decidere di vivere ogni giorno la propria vita come Gesù, riconoscendo che il suo stile e il suo agire sono la via che porta alla verità della vita… diventano, allora, una grande occasione di grazia, perché, da una parte, l’uomo è destinatario di una benevola azione d’amore da parte di Dio e, dall’altra, l’uomo ‘permette’ a Dio stesso di operare e rendersi presente nel mondo. Esempio massimo di tale situazione è forse proprio la celebrazione eucaristica: se non ci fosse una comunità riunita e non ci fosse un presbitero che pronuncia le parole della consacrazione, si potrebbe essere anche le persone più interessanti di questo mondo, ma Gesù non si renderebbe presente nel suo corpo, anima e divinità.

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