La Chiesa
cattolica, nello sviluppo del suo insegnamento dogmatico, ha continuamente
affermato che l’inizio della fede e della stessa inclinazione a credere, come
la crescita e il compimento della salvezza, sono dono della grazia e non
semplicemente opera nostra. Non senza la grazia, infatti, può l’uomo liberamente
acconsentire all’azione di Dio.
Per comprendere
come grazia e libertà interagiscono tra loro si sono utilizzate immagini tratte
dal mondo naturale. C’è l’immagine tradizionale dei due uomini caduti nel
pozzo: a tutti due Dio tende la mano, ma dipende dall’uomo volgere o no la sua
mano a Dio. La scelta della salvezza dipenderebbe dall’uomo.
C’è l’immagine
del gattino e della scimmietta. Quando i due sono in pericolo, nel primo caso
arriva la gatta che afferra il gattino e se lo porta via; nel secondo caso,
invece, la scimmietta salta nel seno della mamma e tutte due fuggono via. C’è
anche l’immagine di due locomotive che vanno sullo stesso binario: quanto più
la prima avanza, tanto più l’altra deve ritirarsi e viceversa. In tutti questi
casi vediamo che Dio e uomo, grazia e libertà dell’uomo, vengono visti come due
grandezze concorrenziali.
Quanto più Dio
opera, tanto meno l’uomo; e viceversa. C’è poi l’immagine dei due cavalli che
sulle due sponde del fiume trascinano ciascuno un battello. Questa immagine
viene usata frequentemente per indicare come la salvezza sia un atto in cui Dio
e uomo cooperano, ma dove ciascuno è solo causa parziale della
salvezza. Mentre grazia e libertà dell’uomo sono cause integre e totali della
salvezza.
Dal punto di vista
storico e teologico, il dogma dell’immacolata concezione di Maria è una
splendida immagine di come grazia e libertà dell’uomo, azione divina ed impegno
umano, cooperano tra loro. «Dio può volere da sé, cioè antecedentemente alla
effettiva decisione libera dell’uomo, in maniera assoluta ed efficace una
determinata azione libera e buona dell’uomo. Con ciò questa non cessa di essere
libera e non ne segue che a causa della libertà Dio preveda l’azione libera
solo perché essa avviene e non perché Egli la vuole. Dio raggiunge così ciò che
vuole e l’uomo fa liberamente ciò che Dio da sé ha voluto in maniera
incondizionata. Dio, infatti, proprio perché è Dio, può donare alla creatura
anche il libero agire davanti a lui. Perché Egli lo possa, come Egli lo faccia,
è un mistero di tenebra accecante. Per dirla in breve, chiamiamo questo fatto
la predestinazione, escludendo da questo concetto ogni fatalismo, ogni mancanza
di libertà e ogni determinismo» (K. Rahner).
Grazia di Dio e
libertà dell’uomo non sono inversamente proporzionali, ma direttamente proporzionali:
quanto più Dio dona la grazia alla creatura, tanto più la creatura è libera.
«L’onnipotenza divina e la libertà della creatura crescono in maniera uguale e
non in maniera opposta; la libertà onnipotente di Dio rende l’uomo non meno
libero, ma è la condizione per la sua libertà; l’onnipotenza di Dio non
costringe la creatura, ma fonda la capacità della creatura» (G. Greshake). La
grazia di Dio non ostacola la libertà dell’uomo, anzi la suscita e la attiva. La
pone e la dispone. Il peccato, invece, interrompe questa graziosa proporzionalità
diretta, e l’uomo opera da solo senza Dio. «L’uomo compie un’opera propria
quando rifiuta, ma deve invece ritenere un dono di Dio il suo libero sì»
(K. Rahner).
Specialmente
nella preghiera verifichiamo quale tipo di proporzionalità stiamo vivendo con
Dio. Pensiamo che Dio potrà esaudire la nostra preghiera, solo se rimaniamo
passivi nel nostro agire. Se chiedo a Dio una grazia, aspetto che mi sia
concessa. Le immagini bibliche, invece, ci suggeriscono, da un lato, che è Dio
colui che getta il seme e lo pianta nella terra; da un altro lato, è la terra
che produce spontaneamente (automátë:
cioè automaticamente, che «si muove da solo») prima lo stelo, poi la spiga,
poi il chicco pieno nella spiga.
Tra la grazia e
la libertà umana, l’opera divina e il nostro impegno, la preghiera e l’azione,
non c’è un rapporto di sostituzione (l’una senza l’altra); non c’è un
rapporto di coordinazione (l’una agisce con e accanto all’altra);
ma c’è un’identità relazionale. Dio agisce non senza di noi, nel senso più
intimo, cioè, attraverso e in noi. Quanto più cresce la grazia,
tanto più aumenta la mia capacità di rispondere a Lui e quindi la mia libertà;
quanto più mi affido a Dio, tanto più si fa sentire in me il desiderio di agire
e prendo consapevolezza della mia responsabilità per gli altri. Quanto più
compio la volontà di Dio, tanto più la mia volontà è la sua. «Non
consiste forse il digiuno che voglio nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre
in casa i miseri, i senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza
trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua
ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la
gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”» (Is 58,7-9).
La preghiera
diventa così un radicale affidamento a Dio, in cui chiediamo a Dio non tanto di
agire al nostro posto, ma diveniamo consapevoli di noi stessi, delle persone
che ci circondano e degli avvenimenti che ci accadono attorno. Invece che
demandare a Dio i nostri doveri, deresponsabilizzando così la fede, nella
preghiera sentiamo che la nostra responsabilità e la nostra azione preparano il
Regno di Dio.
Una storia sufi
così racconta: «Un uomo sconvolto da tutto il dolore e la sofferenza che
vedeva intorno a lui alzò il suo grido a Dio. “Guarda tutto questo dolore e
sofferenza. Guarda tutti questi omicidi e queste tragedie. Oh mio Dio, come mai
non sei intervenuto?”. Allora Dio gli disse: “Ma io ho mandato te!”».
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