(Ezechiele 34,11-12.15-17 1ª Corinti 15,20-26.28 Matteo 25,31-46)
Il brano del vangelo di Matteo di oggi è una originale elaborazione redazionale del primo evangelista, anche se il suo contenuto fondamentale rispecchia il messaggio di Gesù circa la priorità da riconoscere alla misericordia verso i poveri.
Con un dittico letterario accuratamente parallelo e redatto in forma di duplice dialogo del re giudice, «assiso sul suo trono di gloria», si viene a conoscere la motivazione fondamentale e riassuntiva per cui i popoli sono alla fine ‘benedetti’ e fatti eredi del regno, oppure ‘maledetti’ e destinati al fuoco eterno.
L’elemento più sorprendente nei ‘dialoghi’ è costituito dal fatto che i due gruppi separati, perché riconosciuti dal giudice divino ‘benedetti o maledetti’, devono ammettere di non aver mai visto il Signore quando hanno soccorso o trascurato (non servito) coloro che egli considerava e considera come «i suoi fratelli più piccoli»! Dunque, il ‘servizio della misericordia’ era e doveva essere motivato dalla gratuità di un animo e di una coscienza che liberamente si dedicano al prossimo (come il ‘buon samaritano’ della parabola lucana), non perché folgorati e costretti da una motivazione prodigiosa (vedere il Signore)!
Soltanto Matteo, fra gli evangelisti, fa assistere anticipatamente a questo grandioso evento finale. Non si tratta propriamente di una parabola, bensì di un annuncio; ovviamente formulato ricorrendo allo scenario simbolico di pecore e capri e di un pastore nel ruolo di giudice e re, che conclude l’avventura della storia umana. Dunque, cessa in certa misura il linguaggio figurativo, per far posto ad una sorprendente rivelazione: il Cristo pastore e giudice dichiara, ai popoli adunati per l’ultimo episodio della loro storia, che lui era presente e reperibile in questo mondo là dove c’erano affamati, assetati, emigrati, malati!
Tradizionalmente la catechesi cristiana ha denominato «opere di misericordia» gli interventi di aiuto e di servizio verso i poveri, ossia verso quelli che si trovano in stato di necessità e in situazione di personale impotenza. I vangeli ci fanno anche sapere – come nella pagina odierna – che tali opere erano state già quelle di Cristo Signore. Ai credenti, che si considerano suoi discepoli, Gesù di Nazaret rivela dunque dove e come li attende, per incontrarli anche ai nostri giorni. Un appuntamento non previsto né programmato da chi non si considera credente cristiano. Eppure, quando anche verso affamati, assetati, emigrati, nudi, malati e carcerati ci si muovesse per compassione e interessamento spontaneo e ‘umanitario’, il Signore Gesù dichiara di essere in quei suoi fratelli più piccoli ed emarginati. Se l’uomo non lo cerca espressamente e intenzionalmente, non per questo egli si rende assente e irreperibile!
Preghiera - Attenti all’ortodossia delle nostre professioni di fede, pronti a vagliare con scrupolo le parole che rivolgiamo a Dio, disposti ad accrescere continuamente la conoscenza delle Sacre Scritture, noi restiamo sconcertati, Gesù, di fronte alla domanda che tu ci rivolgerai alla fine dei tempi e da cui dipenderà la nostra eternità.
Non ci chiederai conto, infatti, di quello che abbiamo detto o scritto, ma di quello che abbiamo fatto. E non potremo produrre a nostra difesa e a nostro vanto né i capitali ammucchiati in banca, né i tesori raggranellati in borsa, né le proprietà che figurano al catasto o i successi ottenuti con questa o quella attività.
Conteranno unicamente i gesti compiuti per sfamare e dissetare, per accogliere e vestire, per curare e sostenere. Sarà un triste e doloroso risveglio, Gesù, se ti saremo passati accanto senza neppure vederti, presi dai nostri affari, condotti dal giro vorticoso dei nostri interessi. Perché eri tu che avevi fame e sete, tu che eri straniero, infermo o prigioniero…
Il brano del vangelo di Matteo di oggi è una originale elaborazione redazionale del primo evangelista, anche se il suo contenuto fondamentale rispecchia il messaggio di Gesù circa la priorità da riconoscere alla misericordia verso i poveri.
Con un dittico letterario accuratamente parallelo e redatto in forma di duplice dialogo del re giudice, «assiso sul suo trono di gloria», si viene a conoscere la motivazione fondamentale e riassuntiva per cui i popoli sono alla fine ‘benedetti’ e fatti eredi del regno, oppure ‘maledetti’ e destinati al fuoco eterno.
L’elemento più sorprendente nei ‘dialoghi’ è costituito dal fatto che i due gruppi separati, perché riconosciuti dal giudice divino ‘benedetti o maledetti’, devono ammettere di non aver mai visto il Signore quando hanno soccorso o trascurato (non servito) coloro che egli considerava e considera come «i suoi fratelli più piccoli»! Dunque, il ‘servizio della misericordia’ era e doveva essere motivato dalla gratuità di un animo e di una coscienza che liberamente si dedicano al prossimo (come il ‘buon samaritano’ della parabola lucana), non perché folgorati e costretti da una motivazione prodigiosa (vedere il Signore)!
Soltanto Matteo, fra gli evangelisti, fa assistere anticipatamente a questo grandioso evento finale. Non si tratta propriamente di una parabola, bensì di un annuncio; ovviamente formulato ricorrendo allo scenario simbolico di pecore e capri e di un pastore nel ruolo di giudice e re, che conclude l’avventura della storia umana. Dunque, cessa in certa misura il linguaggio figurativo, per far posto ad una sorprendente rivelazione: il Cristo pastore e giudice dichiara, ai popoli adunati per l’ultimo episodio della loro storia, che lui era presente e reperibile in questo mondo là dove c’erano affamati, assetati, emigrati, malati!
Tradizionalmente la catechesi cristiana ha denominato «opere di misericordia» gli interventi di aiuto e di servizio verso i poveri, ossia verso quelli che si trovano in stato di necessità e in situazione di personale impotenza. I vangeli ci fanno anche sapere – come nella pagina odierna – che tali opere erano state già quelle di Cristo Signore. Ai credenti, che si considerano suoi discepoli, Gesù di Nazaret rivela dunque dove e come li attende, per incontrarli anche ai nostri giorni. Un appuntamento non previsto né programmato da chi non si considera credente cristiano. Eppure, quando anche verso affamati, assetati, emigrati, nudi, malati e carcerati ci si muovesse per compassione e interessamento spontaneo e ‘umanitario’, il Signore Gesù dichiara di essere in quei suoi fratelli più piccoli ed emarginati. Se l’uomo non lo cerca espressamente e intenzionalmente, non per questo egli si rende assente e irreperibile!
Preghiera - Attenti all’ortodossia delle nostre professioni di fede, pronti a vagliare con scrupolo le parole che rivolgiamo a Dio, disposti ad accrescere continuamente la conoscenza delle Sacre Scritture, noi restiamo sconcertati, Gesù, di fronte alla domanda che tu ci rivolgerai alla fine dei tempi e da cui dipenderà la nostra eternità.
Non ci chiederai conto, infatti, di quello che abbiamo detto o scritto, ma di quello che abbiamo fatto. E non potremo produrre a nostra difesa e a nostro vanto né i capitali ammucchiati in banca, né i tesori raggranellati in borsa, né le proprietà che figurano al catasto o i successi ottenuti con questa o quella attività.
Conteranno unicamente i gesti compiuti per sfamare e dissetare, per accogliere e vestire, per curare e sostenere. Sarà un triste e doloroso risveglio, Gesù, se ti saremo passati accanto senza neppure vederti, presi dai nostri affari, condotti dal giro vorticoso dei nostri interessi. Perché eri tu che avevi fame e sete, tu che eri straniero, infermo o prigioniero…
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