sabato 19 novembre 2011

302 - LA TRAGICA POSSIBILITÀ DI FALLIRE TOTALMENTE

Per una pausa spirituale durante la XXXIIIª settimana

Nessuno vorrebbe fallire la propria vita. Il desiderio inscritto in ogni persona umana diventa più forte quando il contesto propone modelli di esistenza riusciti, che costituiscono uno stimolo a rimuovere la possibilità che il compimento non sia raggiungibile. Ad alimentare il desiderio contribuisce anche la reazione alla prospettiva minacciosa, quasi terroristica, che ha contraddistinto alcuni secoli della storia cristiana. In tal senso l’emancipazione dalla paura va di pari passo con l’addio all’inferno, la predicazione del quale aveva costituito uno dei mezzi più efficaci per ricordare ai credenti la necessità di obbedire a Dio. Va da sé che tale prospettiva implicava una concezione di Dio che accentuava la dimensione di lui come giudice e quindi pronto a punire chiunque non fosse stato fedele alla sua legge.
Quanto del desiderio di vendetta tesa a rimettere ordine nel mondo si celasse in questa concezione non sarebbe difficile dimostrare. Innegabile nella visione allusivamente evocata è la specularità tra visione di Dio e visione del destino dell’uomo. Va riconosciuto che il clima generale nel quale le due visioni si proponevano era connotato da un senso di totale dipendenza delle persone dai ‘potenti’, alla cui mercé la generalità degli individui si sentiva. Non va dimenticato che nella delineazione del concetto vulgato di Dio il dinamismo della proiezione ha agito (e agisce) in forma notevole. Del resto la teologia non è sempre l’ispiratrice della predicazione; si può anzi constatare che la predicazione, e con essa la catechesi, attinge molto più alla sensibilità diffusa che alle sottili distinzioni dei teologi. Queste vengono spesso considerate lontane dalla vita e quindi, alla fine, inutili per orientarla. Tuttavia la teologia ha contribuito notevolmente negli ultimi decenni a mostrare il limite di una concezione retributiva che poneva sullo stesso piano l’esito fausto e quello infausto dell’esistenza umana.
In tal senso la riflessione dotta ha aperto una via di uscita dalla paura. E far uscire dalla paura ha significato, per un verso, liberare gli umani dall’angoscia di essere in balìa di una potenza minacciosa e quindi da un opprimente senso di colpa; per un altro, far riscoprire il volto più genuino di Dio, quello presentato da Gesù, che coincide con la misericordia. Per quanto attiene al primo aspetto ha giocato, pur con i suoi limiti, un ruolo importante anche la critica alla religione proveniente dalla psicanalisi, che nei suoi vari orientamenti si è presentata sulla scena in termini quasi messianici: la liberazione dal senso di colpa, benché abbia portato a indebolire il senso del peccato, ha indiscutibilmente contribuito a pacificare le coscienze e a disporre a un rapporto più sereno anche con Dio. La riflessione teologica che si è lasciata provocare da questi stimoli e contestualmente da quelli provenienti da una lettura più attenta del messaggio biblico ha permesso che nella predicazione e nella catechesi si giungesse a proporre un’immagine meno oppressiva dell’esistenza cristiana e a concepire il destino ultimo degli umani anzitutto in termini di salvezza. Il nativo desiderio di vivere in levità connesso con il portato della teologia ha perciò gradualmente portato a mettere in discussione la possibilità di un fallimento totale dell’esistenza, ancor più se questo dovesse essere pensato come condanna definitiva. Questa infatti contraddirebbe sia la volontà salvifica di Dio sia il desiderio delle persone umane.
Ci si trova così di fronte al superamento della concezione agostiniana, secondo la quale l’umanità sarebbe massa damnata a causa del peccato di origine, e la salvezza sarebbe frutto di una grazia riservata a qualcuno, a indiscutibile discrezione di Dio. Il cambio di visione non poteva che portare il pensiero vulgato a negare l’esistenza dell’inferno o ad ammettere che, nel caso esso esistesse, sarebbe vuoto. La legittimazione di tale pensiero è stata trovata sia nella tradizione teologica antica, soprattutto nella dottrina della cosiddetta apocatastasi (attribuita a Origene, benché sull’esattezza dell’attribuzione siano state avanzate riserve; si tratta della dottrina secondo la quale alla fine tutte le creature, compresi i demoni, sarebbero reintegrati nella condizione originaria di bontà; la dottrina fu condannata nel sesto secolo) sia nella teologia di Hans Urs von Balthasar, la cui opera Sperare per tutti, nella divulgazione, è diventata esposizione delle ragioni della negazione dell’inferno.
Ovvio che un’accentuazione dell’esito salvifico del destino umano è conforme alla confessione di fede in Cristo Salvatore, e quindi, per dirla con Karl Rahner, escatologia della salvezza ed escatologia della condanna non stanno sullo stesso piano; farlo sarebbe dimenticare che il destino umano è disposto anzitutto da Dio Salvatore. Tuttavia, negare la possibilità che gli umani possano rifiutare la destinazione loro assegnata da Dio sarebbe considerare i medesimi umani come semplici recettori di un’azione salvifica che non mette in gioco la loro libertà. Va da sé che libertà umana e azione di Dio non possano essere poste allo stesso livello. Resta però indiscutibile che una salvezza che non coinvolgesse il soggetto umano non produrrebbe in lui alcuna trasformazione e quindi non potrebbe neppure essere detta salvezza.
Sulla scorta di tale considerazione, che mette in gioco la responsabilità degli umani, si deve mantenere la tragica possibilità di un fallimento dell’esistenza. Che poi tale possibilità si attui di fatto per pochi o per molti, nessuno può dirlo. In tal senso le visioni di alcuni che, in occasione di apparizioni mariane, si troverebbero davanti agli occhi un inferno stracolmo di peccatori, vanno lette più come frutto di un immaginario modellato da catechesi non totalmente genuine che non come conferma della dottrina cattolica. Va peraltro ricordato che gli interventi magisteri ali sull’inferno sono ridottissimi. Per di più si deve tenere conto che la Chiesa nella sua massima autorità può dichiarare beate e sante alcune persone, ma non è abilitata a dichiarare che alcune persone sono dannate. E ciò perché il compito della Chiesa è annunciare la salvezza.

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