venerdì 4 novembre 2011

298 - QUANDO LE GUIDE ED I MAESTRI NELLA CHIESA DANNO SCANDALO

Per una pausa spirituale durante la XXXIª settimana (SECONDA PARTE)

In realtà la comunità dei credenti in Gesù di Nazaret non ha, non deve avere né guide né modelli, almeno nel senso assoluto/sacralizzato. Si potrebbe anzi dire che il primo e fondamentale scandalo sia questo: un eccesso di mediazione religiosa molto visibile, molto pesante, non solo istituzionalizzata ma sacralizzata, può solo appannare l’unicità della mediazione di Gesù, il suo essere modello per chi crede in lui, l’impegno della sequela fedele e creativa. (Non «fedele e tuttavia creativa»; ma «fedele proprio in quanto creativa»).
È scandaloso, cioè fuorviante e diseducativo – e non unicamente imputabile ai mezzi di comunicazione, sempre un po’ malati di estrinsecismo –, il fatto che la visibilità della Chiesa istituzionale risulti dominante rispetto al fatto cristiano, che dicendo Chiesa d’istinto si pensi al papa e a una gerarchia piramidale prima che a Cristo e al suo Vangelo. In questo senso il Papa, qualunque Papa, potrebbe essere di scandalo, anche qualora fosse personalmente irreprensibile; di scandalo per i credenti e per i non credenti, indotti a una visione deformata dell’essere cristiani.
Al sentir parlare di scandalo offerto da «guide e maestri» nella Chiesa, molti oggi sono indotti in modo quasi automatico a pensare a tristi fatti recenti avidamente amplificati dai mezzi di comunicazione, soprattutto gli episodi di pedofilia da parte di membri del clero. Benché si tratti di episodi gravi e dolorosi, che richiedono una riflessione più profonda e un esame di coscienza da parte di tutte le componenti della Chiesa, oseremmo dire che lo scandalo più specifico e preoccupante non è questo: individui psichicamente labili o corrotti o disonesti si trovano in ogni ambito, come pure altri individui che avrebbero il dovere di vigilare sul loro operato e, per amicizia o per altri motivi, coprono le loro colpe incorrendo così in una sorta di complicità più o meno diretta.
Coloro che nella Chiesa hanno potere a qualunque titolo danno scandalo quando antepongono se stessi all’Evangelo e al bene degli esseri umani: quando affermano di porre al centro l’uomo e la sua dignità, mentre in effetti al centro si trova solo la preoccupazione di riaffermare quanto si è sempre affermato, anche se ormai giustamente percepito da molti come non più sostenibile, di mantenere il più possibile un dominio ecclesiastico sulle coscienze che per lungo tempo è stato confuso con l’autentico vivere cristiano.
Danno scandalo quando impongono o tentano di imporre fardelli troppo pesanti, come dice Gesù, sulle spalle dei fedeli. Danno scandalo – cioè sono di ostacolo alla crescita nella fede – perché, rendendo difficile e quasi anti-umana la fedeltà ai princìpi cristiani, aprono di fatto la strada alla disaffezione e all’abbandono, ma soprattutto perché inducono a formarsi un’immagine deformata e terribile di Dio: non più il Dio di Gesù di Nazaret, ma una specie di divinità astratta e irragionevole, gelosa della felicità dei suoi figli e/o indifferente alla loro sofferenza.
Danno scandalo perché contenuti e stile di certi discorsi ecclesiastici non rendono affatto l’idea di un «lieto annuncio» cristiano, non aiutano nessuno a sentire la fede come novità e liberazione. Danno scandalo quando riducono la fede cristiana a una specie di religione civile (non a caso assai gradita a tanti atei conservatori!) e inducono la gente – dentro la Chiesa e fuori – a identificarla con un misto di ordine, perbenismo, assenza di senso critico, diffidenza di ogni ‘diverso’ e di ogni ‘nuovo’, mentre la logica del vangelo diventa un optional, se non un’anomalia, tanto rispettata a parole quanto di fatto ininfluente. Danno scandalo quando mostrano una non disinteressata apertura verso le correnti più retrive, insieme a un’intollerante severità verso quelle più avanzate. Danno scandalo, infine, quando nel loro agire, nelle loro esortazioni, nelle loro intenzioni manca la trasparenza: cioè quella che i vangeli chiamano la purezza di cuore, e il cui contrario è appunto l’ipocrisia.
L’aspetto più inquietante per noi è che Gesù, nello stesso cap. 23 (vv. 25-26), chiama ‘ciechi’ gli ipocriti, che a forza di ingannare gli altri finiscono con l’ingannare se stessi e non veder più il proprio stato, confondendo le tenebre con la luce. È una cecità particolarmente grave quando si manifesta in coloro che dovrebbero essere e sono considerati le guide spirituali del popolo di Dio. In effetti il peccato di ipocrisia in ogni tempo insidia soprattutto le persone religiose, oggi come al tempo di Gesù. Una potente spinta all’ipocrisia può venire dal ruolo che si ricopre, talvolta dissimulata dinanzi alla propria coscienza con l’imperativo del buon esempio, di non dare scandalo: si potrebbe quasi parlare di una meta-ipocrisia.

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