sabato 27 agosto 2011

273 - IL SENSO E L’ESERCIZIO DEL POTERE NELLA CHIESA - Per una pausa spirituale durante la XXIª settimana

Una volta la consegna delle chiavi di casa al figlio che diventava ‘grande’ corrispondeva alla raggiunta fiducia e alla condivisione della responsabilità nella gestione delle cose famigliari; uno dei tanti riti di iniziazione alla vita, prima della maggior età legale, come un battesimo di appartenenza al gruppo dei pari. Così, al contrario, il togliere le chiavi, il cambiare le serrature, corrisponde al sospendere la fiducia, al tagliare il rapporto di corresponsabilità. Le chiavi della macchina: il permesso di usare l’automobile di papà (e di lasciare il serbatoio vuoto…), di andare e venire e caricare gli amici.
Il potere nella vita è la forza di imporre la propria volontà, prima a se stessi e poi agli altri. Ci sono diversi poteri: il potere economico, segnato dal denaro e dalla possibilità di disporre dei beni materiali corrispondenti alle esigenze di vita delle persone; il potere politico, che corrisponde alla possibilità di gestire il bene pubblico legalmente (o con la violenza appoggiata alla forza militare o altro) a favore del popolo governato; il potere giudiziario, esercitato nei luoghi dove gli uomini gestiscono la giustizia e assolvono o condannano nel nome del popolo o dell’autorità superiore; il potere famigliare, dei genitori sui figli, o dei coniugi reciprocamente, o sulle persone messe in tutela, che si esercita in privato ed è legato sì, alla fondazione giuridica dell’istituto famigliare, ma soprattutto all’autorevolezza guadagnata con la coerenza e la trasparenza della vita; il potere religioso, che disciplina anche la vita civile facendo appello all’autorità superiore, all’‘aldilà’, che rappresenta il giudizio finale e la protezione temporale nelle vicende umane.
Il potere religioso si esercita abitualmente in una istituzione. Chi è investito di potere non è accreditato per le sue qualità personali, ma per il mandato ricevuto dall’autorità costituita. C’è anche però il potere religioso legato al carisma della persona. Questa forma sembra essere sempre più diffusa e congeniale nel mondo liquido della modernità.
Oggi la Chiesa non può presentarsi come una centrale di potere. La scomunica, pur giustificabile in una visione di comunione sacramentale, non ha più luogo e opportunità adeguata per essere esercitata nel mondo attuale. Sant’Ambrogio poteva espellere dalla chiesa l’Imperatore reo di un massacro. Il vescovo, se un prete non obbediva, mandava le sue guardie a mettere in riga il rivoltoso. Si potevano tagliare i viveri ai figli e ad ogni altro dipendente perché la società sanciva il potere e ne garantiva l’efficacia.
Oggi dobbiamo tentare di superare ogni forma di autoritarismo per recuperare l’autorevolezza. Talvolta l’autorità viene messa in discussione, o addirittura derisa, da chi ha soltanto la forza della contestazione senza che segua, al rifiuto di docilità, la coerenza del comportamento. È un prezzo da pagare alla crescita, un’adolescenza generalizzata da sopportare con pazienza perché non è destinata al conflitto distruttivo, ma al raggiungimento di una più adulta maturità.
Oggi la Chiesa deve qualificare e purificare l’esercizio del potere soprattutto su quattro direzioni:
– il potere della verità. Superando i compromessi che permettono di galleggiare, ma alla fine ostacolano la navigazione della barca di Pietro, occorre ritornare alla Verità che rende liberi. Una verità scomoda, che si paga abitualmente con il sangue. La verità dei primi cristiani, del vecchio padre dei Maccabei (2 Mac 6,18-31). La verità dei profeti e dei grandi fondatori e riformatori;
– il potere del grembiule. Ogni scandalo (pedofilia, traffici economici…) patito nei tempi recenti o ripescato nella storia con operazioni deontologicamente scorrette, indebolisce il potere della Chiesa. Ogni atto di servizio nascosto, di sacrificio in piena gratuità (Madre Teresa di Calcutta, i monaci algerini, i missionari uccisi ogni anno sul fronte dell’evangelizzazione e della promozione umana…) alimenta la forza di comunione e la coerenza al Vangelo;
– il potere della misericordia e del perdono. Nonostante la conflittualità generalizzata (tanto che appare sempre di grande attualità il vecchio adagio filosofico Homo homini lupus, «l’uomo è lupo per il suo simile»), il bisogno di incontrare nella vita le braccia aperte di un Padre accogliente è sempre urgente. La Chiesa può parlare di misericordia se essa stessa è misericordiosa;
– il potere della memoria. Su questo punto la società moderna è fortemente scompensata. Da un lato costruisce macchine sempre più potenti, capaci di confrontare in pochi istanti miliardi di dati e di tirare conclusioni operative mettendo in comunicazione in tempo reale il mondo intero. Dall’altro dimentica il passato remoto, ma anche quello recente, scritto con il sangue dei testimoni. Questa smemoratezza spinge a costruire scatole sempre più vuote (case o strutture di pensiero) dentro le quali alloggiare il tempo di una stagione. L’usa e getta della vita si fonda sull’esiguità dello spessore storico delle cose. Sedimentare e trasmettere ciò che resiste all’usura del tempo è compito della Chiesa.
Quelle chiavi che Pietro tiene tra le mani sono pesanti. Non possono essere rimpiazzate da un qualsiasi telecomando, né usate come ricatto verso i figli ribelli. La religione tende a legare. Tante volte si è presentata la legge come una siepe, forse è più giusto che sia intesa come un cartello indicatore della retta via. Di fronte al cieco nato che ha riavuto la vista gli uomini della Sinagoga cercano l’irregolarità, l’abuso, la menzogna; Cristo e i semplici cercano la libertà e la grazia del vedente. Nella Chiesa nasce talvolta la paura che ‘sciogliere’ voglia dire ‘briglie sciolte’. E forse l’istituzione deve temere che la perdita di controllo finisca per indebolire il governo. Moltiplicando i linguaggi si restituisce a molti la possibilità di esprimersi, ma si rende più difficoltoso il compito di controllo dei pochi. Un’altra tentazione, nel clima dell’enfatizzazione della libertà individuale, è quella di sciogliersi da soli. L’autoassoluzione separa la coscienza individuale da quella collettiva, scavalca il giudizio oggettivo della storia e riduce il principio all’opinione personale.
Il rapporto tra terra e cielo non deve essere fondato sulla paura del castigo, ma sul timore di Dio che spinge al rispetto della vita e del Creatore. Allora il Cielo ritrova la sua forza e ritorna ad essere il luogo del giudizio ultimo, della valorizzazione della terra, del passaggio dal tempo all’eternità. E le parole dette a Pietro: «A te darò le chiavi del Regno dei cieli», riacquistano il senso e la pesantezza delle cose ultime.

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