giovedì 4 agosto 2011

266 - I MIRACOLI E LA FEDE - Per una pausa spirituale durante la XVIIIª settimana

Il tema dei miracoli è sempre d’attualità, persino nelle trasmissioni e nelle pubblicazioni frivole. Perciò non è esente da rischi. Da una parte, l’enfasi sul prodigioso costituisce una minaccia per la fede, specie quando induce ad un atteggiamento fanatico e superstizioso. Dall’altra, però, nei confronti di ogni notizia di eventi straordinari vi può essere uno scetticismo pregiudiziale che fa leva su di una ambigua motivazione spirituale: in nome di una fede ‘pura’ tutto ciò che riguarda il corpo e i sensi non attiene al regime della Grazia. Per i cristiani la fede non può essere confusa con la creduloneria; però non è autentica se è disincarnata. Liberato il campo dal dolo sfacciato, sussiste il problema del senso, del significato di alcuni accadimenti eccezionali.
1. Il discernimento necessario trova la sua bussola nella testimonianza evangelica circa il comportamento taumaturgico di Gesù. Colpisce anzitutto la sobrietà dei racconti, che non indulgono affatto a sensazionalismi: i prodigi compiuti da Gesù non mirano a strappare applausi, tanto meno a suscitare adulazione (cfr. Gv 6,15). Anzi, proprio quando si avvede della diffidenza nei confronti della sua persona il Maestro non forza la mano per estorcere un consenso; piuttosto dichiara la propria impotenza ad agire (cfr. Mc 6,5s.; 8,11-13). Una relazione con Gesù improntata alla fiducia (come quella del centurione di Lc 7,1-10) è la condizione perché la potenza del Regno annunciato da Gesù possa dispiegarsi nei gesti di bene da lui compiuti. Anche quando il bisogno immediato viene saziato (trovare il pane, Mt 14,16; guarire dalla lebbra, Lc 7,11-19), viene offerto molto di più; ma questa eccedenza è legata alla persona stessa di Gesù e quindi può essere scoperta soltanto approfondendo la relazione che lui dischiude. L’evangelista Giovanni ne disegna magistralmente il tracciato, rinviando all’ora della glorificazione (cfr. Gv 2,4 e 13,1) la manifestazione della misura reale della potenza di Gesù.
2. Ora, però, se giudichiamo la croce di Gesù secondo i parametri generici della forza strabiliante, dobbiamo riconoscere che si tratta dell’anti-miracolo per eccellenza. La sfida lanciata da quanti si facevano beffe del Crocifisso (cfr. Mt 27,41) viene raccolta da Paolo, quando identifica la dýnamis di Dio proprio nel vangelo della Croce (cfr. Rm 1,16s.; 1 Cor 1,23s.). Nell’incontro con il Crocifisso risorto – non ostentato ai detrattori, ma offerto agli amici – le donne e gli apostoli riconoscono che le piaghe gloriose sanciscono la misura integrale ed irrevocabile dell’offerta che Dio fa di sé all’umanità nel dono del Figlio (cfr. Gv 3,16; 1 Gv 4,9). Questo è il miracolo, di cui ogni altro prodigio era anticipazione: un Dio per l’uomo. Chi non ‘vede’ questo, finirà per stancarsi presto dei benefici a intermittenza che il Cielo concede; anzi, magari giungerà a stizzirsi e a imprecare per un esaudimento che non giunge sollecito. Chi invece apre gli occhi su questo eccesso – sulla Grazia! – può fregiarsi del titolo di ‘vincitore’ in virtù di Colui che ci ha amati (cfr. Rm 8,31-39). Ecco perché nella scenografia della Passione il terremoto si scatena ed il velo del tempio si lacera proprio alla morte dell’Innocente: sono i segni che nell’oblazione di Gesù (cfr. Mc 10,45; Gv 10,18) ha inizio la nuova creazione e nel sangue dell’Agnello viene sigillata l’alleanza definitiva.
3. È quanto mai opportuna, allora, una revisione della classificazione usuale del miracolo tra i fenomeni preter-naturali; classificazione che suggeriva l’infrangimento di un meccanismo e quindi una contrapposizione alla natura. Infatti, nel miracolo che è Gesù noi riconosciamo piuttosto la verità della creazione, il mistero nascosto nei secoli, preparato pazientemente da Dio (cfr. Ef 1,3-14; Dei Verbum 3). È a partire dal Crocifisso risorto che noi possiamo rileggere la storia intera del cosmo come l’anticipazione necessaria all’incontro con lo Sposo e come il travaglio che giungerà a definitivo compimento nelle nozze con Lui (cfr. Rm 8,18-25; Ap 21–22).
4. Il prodigioso sviluppo del sapere scientifico e delle sue applicazioni tecnologiche ha svelato molti segreti del funzionamento della natura ed ha dotato l’umanità di strumenti potenti per liberarsi dalla sua indigenza. Ciò che non si può chiedere alla scienza è il senso complessivo dell’avventura umana e la causa buona per la quale impiegare l’esistenza personale. Nell’incontro con Gesù l’enigma più grande che è la nostra libertà si svela non come una finzione, né come una condizione tragica, ma come il rischio necessario ad una salvezza che ha la forma della relazione (cfr. 1 Gv 1,1-4). Dio non ci impedisce di sperimentare il nostro limite, non perché sia sadico, ma perché cerca il nostro consenso senza ingoiarci. Siamo dunque restituiti alla piena drammaticità del corso della storia, talmente devastata dal male da apparire talvolta irriconoscibile la promessa anticipata nella creazione. Chi volge lo sguardo al Crocifisso, chi si lascia attirare da lui (cfr. Gv 12,32), viene liberato dalla disperazione, perché il destino della storia è posto sotto il segno della redenzione.
5. Di fronte alla notizia di presunti eventi prodigiosi spetta alla Chiesa verificare la cristiformità di ogni dono, in particolare la compatibilità con il vangelo della Croce. Quando lo stupore non matura nelle condizioni obiettive della conversione (nell’ascolto della Scrittura, nella celebrazione del sacramento e nella comunione nel vincolo apostolico), rischia di mutarsi presto in un prurito narcisistico.
6. Infine, cosa possiamo chiedere al Signore? Tutto! Chi ha la consapevolezza di essere figlio/a non deve vergognarsi di aprire il cuore e dichiarare le necessità che lo angustiano. Lo si deve fare da figli, però. Senza tentare Dio, senza metterlo alla prova, quasi che il giudizio sull’autenticità del suo amore fosse sospeso alla realizzazione delle nostre attese. È tutt’altro che infantile e deresponsabilizzante pregare così; anzi, suppone che mentre si tende la mano al Cielo si compia un atto di abbandono incondizionato, a immagine del Figlio (cfr. Lc 22,42). Quando le nostre invocazioni sono modellate da questo atteggiamento, otteniamo da subito un dono: lo Spirito, che ci conferma nella fede, rendendoci perseveranti.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.