sabato 24 novembre 2012

450 - LA REGALITÀ DI CRISTO È PER L’UOMO - 25 Novembre 2012 – Solennità di Cristo Re dell’Universo

(Daniele 7,13-14  Apocalisse 1,5-8  Giovanni 18,33b-37)
Il colloquio di Pilato con Gesù del Vangelo di oggi è incentrato sul significato della sua regalità, che non corrisponde all’accusa dei giudei, che glielo avevano condotto come un sobillatore politico. Alla domanda di Pilato: «Sei tu il re dei giudei?» (v. 33), Gesù, secondo i sinottici, risponde con un ambiguo: «Tu lo dici» (cfr. Mc 15,2 par.). Giovanni, invece, riporta un dialogo che ha uno scopo apologetico e cristologico insieme. Negli anni 70-90 d.C. era importante scagionare il procuratore per la condanna di Gesù e ribadire che il cristianesimo non costituiva un pericolo per l’impero romano.
Il confronto centrale, faccia a faccia tra il rappresentante dell’impero e Gesù, al di là della drammaticità delle parole e dei gesti, dei silenzi e degli sguardi, diventa una pagina di rivelazione. Gesù rivela, proprio in questo momento – non lo aveva mai fatto in altre circostanze nel vangelo di Giovanni – che egli è re. Gesù lo fa senza sotterfugi, con ricchezza di dettagli, rimandando a un altro regno. La sua regalità è legata alla «testimonianza della verità», all’affermazione della sua origine divina. È questo lo scopo della sua venuta nel mondo e della sua nascita.
Che cosa sia questa «testimonianza alla verità» si può capire in base all’insieme di tutto il quarto vangelo. Gesù è venuto a testimoniare ciò che ha visto e che continuamente vede. Egli è la Parola rivolta verso il Padre e quindi è Parola di verità, perché dice come è Dio e come l’uomo realizza veramente se stesso. La paternità di Dio e la nostra condizione di figli è la verità che egli ci consegna. Gesù è «re», ma non di questo mondo. La sua regalità non entra in competizione e non costituisce un pericolo per il potere romano, consiste invece nell’offrire la propria vita sulla croce per salvare l’uomo.
Siamo alla conclusione dell’anno liturgico, e non a caso la liturgia pone a coronamento del cammino annuale questa solennità che riassume e sintetizza l’intero cammino percorso. È dal legno della croce che Gesù regna, e il suo potere e la sua gloria stanno nella forza e nella grandezza dell’amore. Celebrare la festa di Cristo re significa porre Gesù Cristo in cima alla scala dei valori della vita, significa prendere coscienza che deve essere lui a guidare e orientare il nostro cammino.
Papa Paolo VI aprendo la seconda sessione del concilio Vaticano II descriveva con queste parole il primato di Cristo: «Cristo da cui veniamo, per cui viviamo e a cui andiamo. Nessun’altra luce […] che non sia Cristo, luce del mondo; nessun’altra verità interessi le nostre anime che non sia la parola del Signore, unico nostro Maestro; nessun’altra aspirazione ci guidi che non sia il desiderio di essere a Lui assolutamente fedeli; nessun’altra fiducia ci sostenga se non la certezza che egli è con noi» (EV 145). Nella nostra vita cristiana siamo chiamati a dare a Cristo questo primato: sull’intelligenza per mezzo della fede, sul cuore per mezzo dell’amore, sulla volontà e sulla vita con l’accettazione del suo volere, cosicché egli diventi «l’Alfa e l’Omèga» di quello che pensiamo, di quello che amiamo e di quello che siamo.
Oggi la domanda che ci si deve porre non è se Gesù Cristo regni o no nel mondo, ma se egli regni o no in me; non se la sua regalità è riconosciuta dagli stati e dai governi, ma se è riconosciuta e vissuta da me. Chi regna dentro di me, chi fissa gli scopi e stabilisce le priorità: Cristo o qualcun altro? Secondo l’apostolo Paolo esistono due possibili modi di vivere: per se stessi o per il Signore (cfr. Rm 14,7-9). Vivere «per se stessi» significa vivere come chi ha in se stesso il proprio principio e il proprio fine; indica un’esistenza chiusa in se stessa, tesa solo alla propria soddisfazione e alla propria gloria. Vivere «per il Signore», al contrario, significa vivere in vista di lui, per la sua gloria, per il suo regno. In una delle invocazioni del Padre nostro preghiamo: «Venga il tuo regno!». Ebbene la festa di oggi sia per noi un invito a costruirlo con la vita, la santità, la grazia, la giustizia, l’amore e la pace.
PREGHIERA
C’è una regalità che non ha bisogno di esibire insegne luccicanti, né di imporsi con la forza. C’è un potere che non ricorre all’uso della violenza e tuttavia trasforma in profondità il corso degli eventi solo attraverso l’amore.
Tu sei re, Gesù, e lo dichiari davanti al procuratore romano, a costo di apparire un illuso, perché non corrispondi per nulla all’immagine del potente di turno.
In quel momento, in effetti, sembra che sia Ponzio Pilato a poter disporre della tua vita solo perché può decidere di farti morire sulla croce. Ma a considerare gli avvenimenti con uno sguardo profondo l’apparenza non inganna più. Questa nostra storia ha visto sgretolarsi inesorabilmente il mondo costruito con le armi delle legioni e ha registrato la forza dirompente del tuo amore disarmato.
Non eri tu, dunque, il debole, né lo sconfitto, né il perdente, e la tua croce non ha costituito il segno inequivocabile del fallimento: proprio attraverso di essa tu hai tracciato un corso nuovo all’umanità.

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