(1º Re 17,10-16 Ebrei 9,24-28 Marco 12,38-44)
la seconda parte del Vangelo parla di una povera vedova (vv. 41-44). Gesù contrappone spesso ai gesti presuntuosi di chi si crede migliore degli altri, quelli umili della povera gente, gesti nascosti ma animati da una fede profonda. Gesù, dopo aver rovesciato dai troni i potenti (scribi e farisei), ora innalza gli umili prendendo come esempio la «vedova povera» che, nel tempio, compie un gesto significativo. Guarda caso essa è una di quelle a cui gli scribi «divorano la casa» e che non ha ormai che «due monetine» (v. 42). Questa donna – povera, vedova, umile – non si lamenta (chi si lamenta di ciò che ha perso, difficilmente offre in dono quanto gli resta!). È una delle poche persone che non sanno cosa sia l’invidia e l’ipocrisia. È semplicemente una persona che si reca al tempio, e lì, nella casa dove Dio abita, compie il gesto massimo della sua offerta: getta nel tesoro quanto le è essenziale per la vita. Quei soldi erano importanti per il suo sostentamento e superflui per quel tempio la cui costruzione era divenuta interminabile.
Nell’atrio del tempio dove potevano accedere le donne, erano collocati dei salvadanai che servivano a raccogliere le offerte. I frequentatori del tempio non gettavano personalmente l’offerta, ma la consegnavano al sacerdote incaricato, che la poneva in questo o quel salvadanaio secondo l’indicazione dei singoli offerenti. Questo spiega perché Gesù è in grado di osservare l’offerta della vedova e lo scopo dell’offerta comunicata al sacerdote.
Il gesto della vedova che versa due spiccioli nel tesoro del tempio è preghiera e amore. L’offerta è povera e insignificante, ma il dono è totale. Gesù ammira questo gesto e lo loda: «Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri» (v. 43). L’insegnamento impartito è chiaro: la vera religiosità consiste nel donarsi a Dio, nel mettersi totalmente nelle sue mani. Questa donna non dava del suo superfluo, ma dava tutto ciò che aveva, forse quanto quel giorno le occorreva per il suo sostentamento. Le monete erano due – le più piccole coniate in Giudea – quindi essa avrebbe avuto la possibilità di tenersene una, invece ha dato a Dio proprio tutto. Una persona che si comporta così, sa essere attenta anche a quelli che si trovano nel bisogno e, se necessario, dividerà con loro fino all’ultima risorsa. Dio non misura gli atti con il nostro metro. La nostra valutazione si ferma alle apparenze, la sua arriva al cuore. Dio non misura in cifre quello che doniamo, lo misura in amore. Non riposiamoci tranquillamente sul «quanto» diamo o facciamo, guardiamo invece allo spirito con cui diamo o facciamo, al sacrificio che ci impone, all’amore che lo anima. «Ci sono alcuni che danno poco del molto che hanno e per essere ricambiati, e questo desiderio segreto avvelena il loro dono. Ci sono altri che hanno poco e lo danno tutto. Essi credono nella vita e nella sua generosità, e le loro mani non sono mai vuote» (Khalil Gibran).
Perché un atto sia vero e autentico deve partire dal cuore. Purtroppo capita sempre più spesso che le apparenze prendano il sopravvento sulla realtà interiore. Si tende all’apparenza, a «ciò che dice la gente», agendo così portiamo in giro una maschera ipocrita, anziché il nostro vero volto. Il vangelo ci vuole «veri», tutto si deve radicare nel cuore per poi trovare all’esterno, negli atti e nei comportamenti, la sua vera espressione. Che cambiamento sorprendente ci sarebbe nel mondo se fossimo fedeli anche solo a questa indicazione di Gesù!
PREGHIERA
Tu hai buoni occhi, Gesù, e sai subito distinguere la generosità autentica dall’esibizione plateale, il gesto con cui si dona il superfluo e quello che impegna l’essenziale, tutto ciò che si ha per vivere. In effetti solo i poveri sono capaci di autentica solidarietà perché disposti a condividere privandosi del necessario. Solo loro vivono fino in fondo la follia consolante dell’amore che offre quanto ha a disposizione, senza tanti calcoli.
Insegnami, Signore, a fare come la vedova, a donarti non gli scampoli, ma il cuore della mia esistenza, a metterti al centro, non alla periferia dei miei pensieri.
Insegnami, Signore, a spartire con i miseri non gli avanzi, gli abiti smessi, le cose fuori moda, ma quello che sta nel mio piatto, gli indumenti nuovi, ciò a cui tengo veramente.
E apri la mia anima alla gioia che non viene meno, quella che si sperimenta più nel dare che nel ricevere.
la seconda parte del Vangelo parla di una povera vedova (vv. 41-44). Gesù contrappone spesso ai gesti presuntuosi di chi si crede migliore degli altri, quelli umili della povera gente, gesti nascosti ma animati da una fede profonda. Gesù, dopo aver rovesciato dai troni i potenti (scribi e farisei), ora innalza gli umili prendendo come esempio la «vedova povera» che, nel tempio, compie un gesto significativo. Guarda caso essa è una di quelle a cui gli scribi «divorano la casa» e che non ha ormai che «due monetine» (v. 42). Questa donna – povera, vedova, umile – non si lamenta (chi si lamenta di ciò che ha perso, difficilmente offre in dono quanto gli resta!). È una delle poche persone che non sanno cosa sia l’invidia e l’ipocrisia. È semplicemente una persona che si reca al tempio, e lì, nella casa dove Dio abita, compie il gesto massimo della sua offerta: getta nel tesoro quanto le è essenziale per la vita. Quei soldi erano importanti per il suo sostentamento e superflui per quel tempio la cui costruzione era divenuta interminabile.
Nell’atrio del tempio dove potevano accedere le donne, erano collocati dei salvadanai che servivano a raccogliere le offerte. I frequentatori del tempio non gettavano personalmente l’offerta, ma la consegnavano al sacerdote incaricato, che la poneva in questo o quel salvadanaio secondo l’indicazione dei singoli offerenti. Questo spiega perché Gesù è in grado di osservare l’offerta della vedova e lo scopo dell’offerta comunicata al sacerdote.
Il gesto della vedova che versa due spiccioli nel tesoro del tempio è preghiera e amore. L’offerta è povera e insignificante, ma il dono è totale. Gesù ammira questo gesto e lo loda: «Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri» (v. 43). L’insegnamento impartito è chiaro: la vera religiosità consiste nel donarsi a Dio, nel mettersi totalmente nelle sue mani. Questa donna non dava del suo superfluo, ma dava tutto ciò che aveva, forse quanto quel giorno le occorreva per il suo sostentamento. Le monete erano due – le più piccole coniate in Giudea – quindi essa avrebbe avuto la possibilità di tenersene una, invece ha dato a Dio proprio tutto. Una persona che si comporta così, sa essere attenta anche a quelli che si trovano nel bisogno e, se necessario, dividerà con loro fino all’ultima risorsa. Dio non misura gli atti con il nostro metro. La nostra valutazione si ferma alle apparenze, la sua arriva al cuore. Dio non misura in cifre quello che doniamo, lo misura in amore. Non riposiamoci tranquillamente sul «quanto» diamo o facciamo, guardiamo invece allo spirito con cui diamo o facciamo, al sacrificio che ci impone, all’amore che lo anima. «Ci sono alcuni che danno poco del molto che hanno e per essere ricambiati, e questo desiderio segreto avvelena il loro dono. Ci sono altri che hanno poco e lo danno tutto. Essi credono nella vita e nella sua generosità, e le loro mani non sono mai vuote» (Khalil Gibran).
Perché un atto sia vero e autentico deve partire dal cuore. Purtroppo capita sempre più spesso che le apparenze prendano il sopravvento sulla realtà interiore. Si tende all’apparenza, a «ciò che dice la gente», agendo così portiamo in giro una maschera ipocrita, anziché il nostro vero volto. Il vangelo ci vuole «veri», tutto si deve radicare nel cuore per poi trovare all’esterno, negli atti e nei comportamenti, la sua vera espressione. Che cambiamento sorprendente ci sarebbe nel mondo se fossimo fedeli anche solo a questa indicazione di Gesù!
PREGHIERA
Tu hai buoni occhi, Gesù, e sai subito distinguere la generosità autentica dall’esibizione plateale, il gesto con cui si dona il superfluo e quello che impegna l’essenziale, tutto ciò che si ha per vivere. In effetti solo i poveri sono capaci di autentica solidarietà perché disposti a condividere privandosi del necessario. Solo loro vivono fino in fondo la follia consolante dell’amore che offre quanto ha a disposizione, senza tanti calcoli.
Insegnami, Signore, a fare come la vedova, a donarti non gli scampoli, ma il cuore della mia esistenza, a metterti al centro, non alla periferia dei miei pensieri.
Insegnami, Signore, a spartire con i miseri non gli avanzi, gli abiti smessi, le cose fuori moda, ma quello che sta nel mio piatto, gli indumenti nuovi, ciò a cui tengo veramente.
E apri la mia anima alla gioia che non viene meno, quella che si sperimenta più nel dare che nel ricevere.
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