sabato 17 novembre 2012

448 - COME FIDARCI DI DIO?

Per una pausa spirituale durante la XXXIIª Settimana del Tempo ordinario


L’episodio della vedova di Zarepta (1º Re 17,10-16) e quello della vedova del vangelo (Marco 12,38-44) si richiamano. Entrambe sono coinvolte in una storia più grande di loro, ma soprattutto in una storia che mette in gioco la loro vita, il dono della loro vita. Obbedire alla parola del profeta Elia o accogliere la parola di Gesù porta a mettere nelle mani di Dio la vita, a confidare in Lui, a credere che Dio c’entra con la vita concreta di ogni giorno, di ogni ora, di ogni minuto. Una cosa grande e quasi impossibile. Ancora più grande e certamente impossibile alle forze di chiunque, è consegnare la propria vita a Dio, offrendola ad un altro che parla a nome di Dio o nel quale Lui è presente. Questo, ci sembra, resta il centro sia della prima che della seconda Parola: una vedova che dà tutto quello che aveva ad Elia ed una che nel tesoro del tempio mette quanto aveva per vivere. Se si vuole è un passo in più rispetto a come il vangelo di Matteo racconta il giudizio di Cristo: qui ci sono dei poveri verso i quali potrebbe spingere la compassione, là ci sono un profeta o i sacerdoti del tempio; quasi la necessità di una ‘doppia’ fede. Ma, comunque, al centro e nel cuore di entrambi gli episodi e senz’altro nei fatti c’è e resta a rischio la vita, il darla o il perderla. Sia il vangelo che il Libro dei Re lo sottolineano: «ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio, lo mangeremo e poi moriremo», e Gesù stesso nel vangelo dice che la vedova «ha messo tutto quanto aveva per vivere». Conclusione: ma la farina non venne meno… ma la vedova ha messo nel tesoro più di tutti gli altri. Una lode ed una provvidenza, ma soprattutto non fatti o parole in più, ma fatti che sono una parola di Dio e quindi creatrice di vita. Qualcosa di grande, di nuovo, perché da allora nella storia di questo mondo comincia una storia nuova, quella in cui non contano i soldi o la carriera, il potere o la salute, la forza o la bellezza, ma il dare la propria vita per amore, senza fare tanti calcoli, ma fidandosi: la gratuità.
Ma qui sorgono gli interrogativi. Nella nostra vita potrà continuare la storia di questa vedova? Una storia senza la quale lo stesso vangelo correrebbe il rischio di essere un libro in più e non parola di Dio e quindi creatrice di vita e di vita nuova per ogni persona in ogni situazione. Sì, perché abbiamo una famiglia con figli da accompagnare, lavori da proseguire, una casa da tenere in piedi e in ordine. Come fidarci di Dio, non a parole, ma con fatti concreti? Domande per un verso più che comprensibili e legittime, ma per un altro senza memoria, perché dimentiche di una serie di ricordi o meglio di fatti che hanno segnato la mia e la nostra vita.
Eccone alcuni, quasi dei memoriali che invitano alla speranza e a rimettere la nostra causa al Buon Dio. Il papà che dice alla mamma angosciata perché il sacco della farina era alla fine: «Tu non guardare e prendi ogni giorno la farina necessaria per fare il pane e vedrai che non verrà meno». Eravamo ai primi del gennaio 1945 e la farina non venne meno. Molti e molti anni dopo, con tutta la famiglia – cinque figli e con la mamma incinta – eravamo in viaggio verso Tromso come famiglia missionaria. Tromso è una città della Norvegia a 800 km sopra il circolo polare artico. A mezzanotte del 24 maggio 1988 arriviamo a Monaco. Come andare in via San Tommaso n.ro 1 per passare la notte? Gira e rigira, nulla da fare. Più che preoccupati ci fermiamo. Ci accosta una macchina. Dove andate? ci chiede in inglese il conducente, la sola lingua in cui qualcosa balbettavo. Diamo la via. Seguiteci. Ho ancora davanti agli occhi la segnaletica con il nome della via san Tommaso n.ro 1, le luci accese alla casa che faceva angolo con una donna alla finestra. Ma come avete fatto ad arrivare, domanda la signora. Raccontiamo: una macchina di sconosciuti ci ha portato qui, fermandosi davanti alla sua casa. No! davanti a voi non c’era nessuna macchina. C’era solo la vostra. Chi guidava quella macchina ? Qualcosa di simile l’anno scorso, il 2 novembre. Mezzo metro d’acqua in casa, al piano terra, per tre giorni. Devastazione. «Dov’è il tuo Dio» sembrava sussurrare dentro una voce. È questa la ricompensa per voi che a metà ottobre avete dato la vostra sala più grande ad un vicino il cui laboratorio si era incendiato; il suo era l’unico lavoro e aspettava il secondo figlio. Il fatto non ci tolse la pace e neppure la gioia di aver dato in comodato l’appartamento. Nella nostra vita di ogni giorno era presente Uno che sapeva il fatto suo, Uno che sempre ama.
Indubbiamente queste sono pietre miliari in cui si incrociano le prove o, con una parola impegnativa, le croci con le meraviglie della ‘grazia’; la morte e la vita. Piccoli altari in cui si incontrano la misericordiosa tenerezza del Buon Dio con la nostra vita nei suoi giorni e nelle sue ore; le più svariate e talora difficili. Un incontro in cui la fede assomiglia talora più ad un lucignolo fumigante che ad una lampada accesa sul candelabro, così come capitava al popolo d’Israele con un Dio sempre fedele e un popolo che abitualmente lasciava a desiderare, se non mormorava. Ma in concreto cosa fare, come camminare in quei momenti? Anche noi sappiamo tante cose. Che l’essere cristiani si ‘mostra’ e solo poi si ‘dimostra’; che la fede cristiana prima di essere un capitolo del catechismo o un libro di teologia è una Presenza: «Io sarò con voi», sarò con voi in quell’ora e in quell’ora saprete cosa dire e cosa fare. Sappiamo che nelle grandi parole che pronunciamo dopo la consacrazione: «mistero della fede», è in gioco la fedeltà di Dio prima della nostra fede; una certezza che apre alla speranza. Ma come in concreto essere pronti quando ci sarà chiesto di dare tutto quello che abbiamo per vivere? Perché quel momento ci sarà per tutti. Per tutti c’è un’ORA. Come prepararci a quell’Ora?
La parola di Dio ci indica almeno due strade. La prima: l’ascolto della parola del profeta. Della parola di Dio. L’invito ad ascoltare è una delle espressioni più ripetute nella storia di Israele. Con «Ascolta, Israele» iniziano i versetti del grande Comandamento. Non per niente abbiamo una bocca sola e due orecchie. Ma soprattutto dall’ascolto della Parola riceviamo luce e forza. Spirito Santo. Anche per questo non tutti possono proclamarla nell’assemblea domenicale. È un ministero. Non si tratta di far teatro, ma di ricordare e di ‘sentire’ che quella parola non solo era ‘ispirata’ quando fu scritta, ma è e resta ‘spirante’, comunicatrice di vita, ora. Ora per chiunque l’ascolta, la custodisce e combatte per metterla in pratica. Una sola Parola può trasformare la vita di chi la proclama e di chi l’ascolta. Miracoli di questo genere ne sono successi e quanti ne succedono o possono succedere.
La seconda: la vedova del vangelo compie un gesto enorme. Dà tutto. Una consegna cui prima o poi tutti saremo chiamati. Per prepararci a quel momento è necessario compiere qualche gesto – un segno – per liberarci dalla sempre possibile e incombente schiavitù del denaro. Le occasioni non mancano e non mancheranno. Pregando perché il ‘segno’ significhi. E tutto questo in semplicità e fiducia, consapevoli che nella nostra piccola storia ritorna sia la storia del popolo d’Israele alle cui infedeltà non venne meno la fedeltà di Dio, sia e soprattutto può continuare la stessa vita di Gesù Cristo, sempre pronto a ‘voltarsi’ verso ciascuno di noi come fece per Pietro e prima che Pietro piangesse.

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