Per una pausa spirituale durante la XVIª Settimana del Tempo ordinario
COMUNICARE LA FEDE COME UNA CHIAMATA - Comunicare la fede nelle varie circostanze della vita, da parte di una persona credente, costituisce un vero atto d’amore che rinnova e rischiara la vita. Si tratta dell’apertura del cuore credente a un’altra persona o a un gruppo non credente, a chi è in ricerca di senso o ancora nell’indifferenza, si tratta di un’apertura del cuore che si fa testimonianza di fede chiara e invitante.
Da un lato ci sono le varie persone che si incontrano in modo occasionale o sistematico, persone con la loro ricerca di un senso valido per la loro vita, senso a volte aperto alla fede, altre volte assorbito da realtà immanenti o immediate.
Dall’altro lato ci sono persone testimonianti la fede. Possono essere genitori ed educatori, compagni occasionali di lavoro o di viaggio, persone che vivono assieme. Spesso si tratta di persone, laiche o consacrate, che hanno fatto della testimonianza di fede la ragione della loro vita. Nelle varie situazioni di vita, su richiesta o per loro scelta, costoro svolgono il compito di comunicare la fede che vivono.
Ne deriva un servizio alla fede, un’azione che convoglia le proprie energie vitali verso la testimonianza della fede. Si tratta di una comunicazione che si svolge in modi differenti. Può essere una presa di posizione esplicita, una proposta su libera iniziativa, una risposta a una richiesta. Può essere una vita vissuta, che attraverso le concrete scelte di vita, le varie opere, manifesta il proprio credo religioso.
La comunicazione della fede è un vero atto di amore perché, da un lato, mette a disposizione del destinatario aspetti preziosi e personali del proprio vivere, trasmette le ragioni che danno senso alla sua vita, dunque qualcosa di molto personale; dall’altro lato il destinatario riceve ciò di cui ha bisogno, ne sia o meno consapevole, un senso valido anche per la sua vita. Il servizio genuino alla fede è in tal modo un vero servizio di amore.
COMUNICARE LA FEDE COME PROBLEMA - Comunicare la fede come atto d’amore non è però cosa facile. Non è realtà che va da sé, quasi automatica. Ci possono essere interferenze di varia natura, consce e inconsce, che limitano e talora alterano pesantemente il risultato.
Interferenze interne alla stessa comunicazione della fede: si verifica quando si comunica la fede perseguendo di fatto, in modo manifesto o latente, obiettivi autocentrati, quali il riconoscimento da parte dell’ambiente, la propria gloria, l’esercizio di un potere sugli altri, la manipolazione dei dati della realtà per mantenere una posizione di privilegio. Anziché servire le persone, di fatto ci si serve della fede o della persona a cui ci si rivolge per obiettivi di autoaffermazione personale o di gruppo.
Interferenze esterne: quando sono presenti fenomeni come l’esteriorismo che privilegia le apparenze superficiali, l’intellettualismo che impedisce un incontro personalizzato con il Signore della vita, l’emozionismo ugualmente di superficie, il ritualismo che, anziché essere soglia dell’esperienza di Dio, si fa barriera all’incontro con la trascendenza, l’opportunismo che si trasforma in ipocrisia.
Di fronte a questi ostacoli sorgono alcune domande: A quali condizioni la comunicazione della fede diviene atto di amore? Che cosa aiuta la persona in questo compito? Che cosa la frena? Su che cosa fare leva perché la comunicazione della fede possa essere sempre un atto d’amore?
I fattori che rendono la comunicazione della fede un atto d’amore sono vari e molteplici. Mi limito ad accennare ai fattori personali. La comunicazione della fede diventa un atto d’amore quando è fatta con un’affettività matura, quando è frutto prevalente di un cuore che ama con autenticità, fermezza e trasparenza.
Occorre che essa sia autentica comunicazione del dono di Dio, del suo agire salvifico, un dono che prima ha pervaso il cuore del donatore, rendendolo accogliente nei confronti della salvezza e desideroso di trasmetterla, perché il vero bene chiede di diffondersi.
PERCHÉ LA COMUNICAZIONE DELLA FEDE SIA EFFETTIVAMENTE UN ATTO D?AMORE - Tra le istanze pedagogiche necessarie si possono richiamare le seguenti:
a – Un’esperienza di fede genuina: La comunicazione della fede, fatta come atto di amore, presuppone nella persona comunicante un contatto vivo e permanente con la fonte da cui la fede sgorga. Si tratta del contatto personale con Dio, incontrato non come un’entità astratta, lontana e asettica, o temuta e tenuta a bada, ma come una persona viva, presente nell’intimo della coscienza, come pure nella famiglia e nella comunità dei credenti. Si tratta di un incontro autentico attraverso i segni sacramentali, attraverso la sua Parola, attraverso le mille realtà mediante le quali Dio si manifesta e si vela a un tempo. Questo richiede da parte di chi vuole trasmettere la fede un effettivo cammino spirituale nel concreto della sua vita, personale e comunitaria, una integrazione tra fede e vita.
b – Un’affettività sufficientemente matura: Il modo di relazionarsi con le persone e le situazioni deve essere, da un lato, sufficientemente libero dall’egocentrismo che strumentalizza l’altro, dall’impulsività che riduce l’altro a oggetto dei propri impulsi e frustrazioni, dall’idealismo che pretende che l’altro sia secondo le proprie attese, le proprie ambizioni, spesso compensatrici di carenze nascoste. Dall’altro lato dev’essere un modo di relazionarsi nutrito di reciprocità, capace di fare posto all’altro nella sua identità effettiva e di porsi di fronte all’altro nella sua verità e trasparenza. L’incontro va nutrito di empatia capace di porsi nei panni dell’altro, di attenzione per intuire ciò che l’altro sta vivendo, così da incontrarlo nella sua verità, restando se stessi; un incontro nutrito di gratuità nel dono di sé all’altro, perché questi possa crescere ed essere se stesso; nutrito di perdono, dato e ricevuto, per poter ripartire, pur negli inevitabili conflitti della vita, con rinnovata fiducia.
c – Una comunità sufficientemente viva e testimoniante: Le comunità credenti sono chiamate a mostrare dal vivo la validità e l’incisività della fede per la vita personale e comunitaria. Le opere di misericordia e di giustizia lo stanno a dire. Queste comunità possono essere la famiglia, la comunità religiosa, la parrocchia, un gruppo di vita, un gruppo di riferimento. La vita e l’azione di gruppo conferiscono alla testimonianza una forza particolare, oggettiva, visibilizzata, estesa nel tempo e nello spazio.