sabato 11 febbraio 2012

332 - LA PREGHIERA DI GESÙ VISTA NEL CONTESTO DEL SUO MINISTERO

Per una pausa spirituale durante la Vª Settimana del Tempo ordinario

Le testimonianze evangeliche dicono che l’esperienza di preghiera di Gesù è quella di una preghiera ricevuta e trasmessa. Ricevuta dalla sua assidua partecipazione alle officiature sinagogali, trasmessa rispondendo alla richiesta dei discepoli: «Insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Tra i due momenti vi è l’appropriazione personale della preghiera da parte di Gesù e la sua trasformazione. Ovvero l’inflessione particolare che Gesù accorda al suo pregare, sintetizzata nell’invocazione fiduciosa e filiale rivolta a Dio quale Abbà. Questa preghiera personale, solitaria, silenziosa, spesso notturna o alle prime luci dell’alba, lontano dalla folla e anche dai discepoli, appare sorgente vitale che nutre la fede di Gesù, lo conferma nella sua vocazione, gli dona perseveranza nel suo ministero. Cioè, lo radica nella relazione con colui che l’ha inviato.
Spesso si parla della ‘missione’ di Gesù, ma missione dice anzitutto relazione vitale e imprescindibile con colui che ha inviato, prima ancora che con i destinatari. Nel contesto del suo ministero, Gesù non vive affatto la preghiera in maniera funzionale, in vista di una predicazione o di un’attività, ma in maniera vitale e personale come dimora nello spazio vitale con il Padre che l’ha inviato. Lì egli trova salde fondamenta al suo agire, parlare, operare, abitando l’intimità con colui che è all’origine della sua obbedienza: «Non sono venuto per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (cfr. Gv 6,38). E le salde fondamenta che trova sono l’esperienza di essere ascoltato e amato. Il momento iniziale del suo ministero pubblico, il battesimo, è accompagnato da un’esperienza di preghiera (esplicitamente in Lc 3,21), in cui Gesù assume nella sua persona le parole tante volte ascoltate nella Scrittura circa il Messia («Tu sei il mio figlio»: Sal 2,7), circa Isacco («l’amato»: Gen 22,2), circa il Servo («In te mi sono compiaciuto»: Is 42,1). L’essere amato dal Padre lo sorregge nel cammino messianico che gli si apre dinanzi e che si conformerà al cammino del servo sofferente di cui parlò Isaia. Questo essere amato si esprime nella coscienza di essere ascoltato, e dunque accolto: «Ti ringrazio, Padre, perché mi hai ascoltato. Io sapevo che tu mi ascolti sempre» (Gv 11,41- 42). La preghiera fonda la fiducia di Gesù nel Padre e il coraggio e la libertà nei confronti dei discepoli, delle folle, degli uomini tutti. E questo, situando Gesù nell’amore: amore del Padre per lui («Il Padre ama il Figlio»: Gv 3,35) e suo per il Padre («Io amo il Padre»: Gv 14,31); amore per i discepoli e gli uomini (Gv 13,1), che accetta di non essere sempre compreso e ricambiato, anzi, di essere anche misconosciuto e rifiutato.
Nel contesto del suo ministero la preghiera ha per Gesù un’importante valenza nei confronti della comunità dei suoi discepoli. Avendoli radunati attorno a sé, egli vive anche con la preghiera la responsabilità nei loro confronti. Dalla sua preghiera solitaria nascono le domande da porre ai suoi discepoli per farli crescere nel cammino spirituale e nel coinvolgimento comunitario: «Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: ‘Le folle, chi dicono che io sia?’» (Lc 9,18). La preghiera è l’alveo che prepara il suo lavoro di far crescere nei discepoli la consapevolezza della loro chiamata, di dare una sterzata alla comunità, di situarla nuovamente in rapporto a Dio.
La preghiera di Gesù, che lo evidenzia in un rapporto stretto con Dio, che lo mostra uomo di Dio, figlio di Dio, appartenente a lui, dà autorevolezza a Gesù e rafforza il suo essere guida e luce del gruppo dei discepoli. La trasfigurazione è l’esperienza di preghiera che consente anche ad alcuni discepoli di cogliere che l’ascolto della parola di Gesù è l’essenziale della loro vocazione.
Gesù intercede anche per i suoi discepoli, prega per loro, e li custodisce portandoli davanti a Dio nella loro assenza. L’intercessione diviene momento essenziale del suo essere pastore. A Simon Pietro, Gesù dice: «Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno» (Lc 22,32). La preghiera personale di Gesù appare anche il luogo in cui egli discerne e decide con Dio le azioni da compiere e i passi da fare. Spesso si dice che la preghiera di Gesù accompagna e segna i momenti capitali della vita di Gesù, ma in realtà è la preghiera che plasma la realtà e che fa del quotidiano l’occasione di un evento decisivo. La preghiera appare così come luogo di gestazione di decisioni, come preludio al parto che avverrà con l’azione. Dopo aver passato tutta la notte in preghiera, Gesù al mattino convoca i discepoli e ne sceglie dodici che stabilisce quali apostoli (cfr. Lc 6,12-13).
Gesù inoltre vive la preghiera personale durante il suo ministero come presa di distanza dalle folle e dai discepoli: il ministero non vive solo di attività, di fare e parlare, ma abbisogna di respiro, di sosta, di pausa. Anzi, il ministero muore se ridotto solo ad attività. La preghiera ricorda che il ministero è inserito in una vita, e che questa è l’essenziale vocazione.
La preghiera diviene infine anche luogo di lotta spirituale, acquisendo una dimensione drammatica nei momenti finali della vita e del ministero di Gesù. Al Getsemani, l’andirivieni di Gesù tra il luogo solitario in cui prega e i tre discepoli a cui ha chiesto di vegliare accanto a lui, visibilizza il dramma interiore tra desiderio di evitare la morte e l’angoscia di dover accogliere il precipitare degli eventi (cfr. Mt 26,36-46). Visibilizza la crisi della relazione che Gesù sta vivendo tra discepoli che si addormentano e non sanno vegliare con lui e un Dio di cui presto, sulla croce, griderà l’abbandono. La preghiera non salva Gesù dalla solitudine, dall’abbandono dei suoi discepoli e nemmeno dall’abbandono di Dio. Ma è ciò che gli consente di accogliere anche questa derelizione come compimento del suo ministero. È ciò che resta di lui e del suo ministero. Resta come grido che invoca risposta, come grido con cui Gesù, nella sua impotenza di crocifisso, chiede a Dio di farsi rispondente. E, una volta risorto, resta come intercessione per gli uomini tutti: Cristo, infatti, «è sempre vivo per intercedere a loro favore» (Eb 7,25).

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