(Qoelet 1,2:2,21-23 Colossesi 3,1-5.9-11 Luca 12,13-21)
Il ricco della parabola evangelica si illude di aver risolto ogni problema, di essersi messo al sicuro da preoccupazioni e fatiche, accumulando i suoi beni per goderne sereno e gioioso. Rimarrà amaramente disilluso! Con questa parabola Gesù certamente non vuole fare del ‘terrorismo spirituale’ minacciando la morte, vuole invece indurci a riflettere e andare in profondità. I beni materiali – ammonisce – non sono tutto, non soddisfano mai pienamente e non assicurano il futuro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». La vita deve ricercare fondamenti più solidi. A questo proposito capita proprio a tema anche la seconda lettura, dove l’apostolo Paolo esorta a ricercare «le cose di lassù», a rivolgere il pensiero «alle cose di lassù, non a quelle della terra». Cercare le cose di lassù, ovviamente, non vuol dire disprezzare le realtà terrene, quasi che la fede sia un’evasione dal proprio tempo e mondo, un ricercare rifugio e protezione altrove. Le parole dell’apostolo vogliono essere un richiamo al fatto che il credente in un mondo sempre più appiattito sul presente, retto dalle leggi economiche basate sul profitto, deve essere un segno che addita la dimensione dello spirito, la trascendenza, il futuro. In altre parole potremmo dire che nell’uso dei beni di questa terra è importante il criterio che ci orienta: se si usano i beni esclusivamente per sé, essi finiscono per diventare un fine, se invece si agisce tenendo conto della loro destinazione universale, diventano un mezzo che è subordinato a valori più grandi.
Arricchire davanti a Dio: questo dovrebbe essere il vero obiettivo. Sempre l’apostolo Paolo indica anche concretamente come accumulare il tesoro vero, che non è destinato a perire. Lo fa con una serie di raccomandazioni: «Fate morire ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria», in altre parole, invita a essere in sintonia con ‘l’uomo nuovo’ di cui ci siamo rivestiti, rinnovandoci a immagine di colui che ci ha creato.
Gesù invita a riflettere anche sul mistero del tempo, all’interno del quale si dispiega la nostra vita. Nel vangelo di Luca infatti, subito dopo la parabola, troviamo alcuni detti di Gesù, che non vengono proclamati nella liturgia, nei quali egli riprende il discorso sul valore della vita, che è di gran lunga superiore a quello del cibo o del vestito e aggiunge: «Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?» (Lc 12,25). Il tempo è dono di Dio, come la creazione, al quale si risponde con gratitudine e responsabilità. Questo dono non solo ci precede (la nostra esistenza si inserisce in una storia che si dispiega ormai da lungo tempo), ma ci eccede sempre, non possiamo farcene padroni, non possiamo dunque dominarlo a nostro piacimento, aggiungendo un’ora sola alla nostra vita. L’uomo arricchito della parabola si vede sfuggire il tempo proprio mentre credeva di essersene fatto padrone. San Basilio ammonisce anche che il tempo che il Signore ci dona va vissuto in pienezza arricchendo davanti a lui e non rinviando al futuro il bene che oggi possiamo compiere: «Ma condividerò i miei beni con i bisognosi quando avrò riempito i miei nuovi granai. Ti fissi dei lunghi tempi di vita! Sta’ attento che non ti raggiunga all’improvviso il giorno del rendiconto. E la tua promessa non è segno di bontà, ma di cattiveria perché tu prometti non per dare in seguito, ma per sottrarti al momento presente».
Anche il Salmo responsoriale dichiara che l’unico vero padrone del tempo è Dio stesso, per il quale mille anni sono come un giorno, come un turno di veglia nella notte, mentre l’uomo è come l’erba che «al mattino fiorisce e germoglia e alla sera è falciata e dissecca». Ecco allora che la saggezza del salmista invita a contare i nostri giorni per acquistare un cuore saggio.
PREGHIERA - Facciamo fatica a rassegnarci, Gesù, anche se le lezioni al proposito ci raggiungono ad ogni piè sospinto. Vivere nell’abbondanza, poter disporre di una quantità di beni, avere un pingue conto in banca ci può facilitare in certe situazioni, ma di certo non ci mette al riparo dai pericoli e dai rischi che incombono su questa nostra esistenza.
Possiamo farci curare da medici prestigiosi e ricorrere a strutture specializzate, ma non ci possiamo sottrarre né alla malattia, né alla morte. Possiamo acquistare prodotti di marca e oggetti lussuosi da esibire, ma non riusciamo a comprare né l’amore autentico, né l’amicizia vera. Possiamo destare attorno a noi ammirazione e plauso per le nostre imprese finanziarie, per le nostre proprietà immobiliari, ma ciò che conta di più per l’eternità che ci sta davanti non sono le quotazioni in borsa, né le rendite fornite dalle proprietà, ma il nostro rapporto con Dio.
Ecco perché tu non esiti a chiamare stolto chi sbaglia tutto e pregiudica ogni cosa semplicemente perché «ha accumulato tesori per sé e non si è arricchito presso Dio».
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