Per una pausa spirituale durante XVIIª Settimana del Tempo ordinario
Nella frenesia della società contemporanea il cristiano si chiede spesso: «QUANDO PREGARE?», non c’è mai tempo. Gesù, a ben vedere, non ha detto di pregare bene, ma di pregare sempre. Non che non debba essere curata, ma più semplicemente che non si devono attendere le condizioni ottimali per iniziare a pregare. Le preghiere sono come i raggi del sole, non guastano la propria luce per il fatto che illuminano acqua stagnante, anzi addirittura la bonificano. La preghiera purifica così il cuore. E un «cuore purificato diviene il cielo interiore» (Filoteo Sinaita).
Alle parole di Gesù fanno eco quelle di Paolo che, nella lettera ai Tessalonicesi, afferma: «pregate incessantemente». Questo ci riconduce al senso profondo della preghiera, la quale non è semplicemente una pratica che può essere esercitata quando si vuole e se lo si vuole. Essa è la condizione necessaria all’uomo interiore. «Il corpo, che vive grazie all’aria, la assume continuamente attraverso il respiro; l’anima, che vive per la grazia, allo stesso modo la attira in sé tramite la preghiera» (A. Troepol’skij). Ecco perché per molti maestri spirituali è un balsamo interiore. Giovanni Crisostomo la definisce come «il porto nella tempesta, l’àncora dei naufraghi, il bastone dei titubanti, il tesoro dei poveri […], rifugio nei mali, fonte di ardore, causa di gioia e maestra della filosofia».
Nella frenesia della società contemporanea il cristiano si chiede spesso: «QUANDO PREGARE?», non c’è mai tempo. Gesù, a ben vedere, non ha detto di pregare bene, ma di pregare sempre. Non che non debba essere curata, ma più semplicemente che non si devono attendere le condizioni ottimali per iniziare a pregare. Le preghiere sono come i raggi del sole, non guastano la propria luce per il fatto che illuminano acqua stagnante, anzi addirittura la bonificano. La preghiera purifica così il cuore. E un «cuore purificato diviene il cielo interiore» (Filoteo Sinaita).
Alle parole di Gesù fanno eco quelle di Paolo che, nella lettera ai Tessalonicesi, afferma: «pregate incessantemente». Questo ci riconduce al senso profondo della preghiera, la quale non è semplicemente una pratica che può essere esercitata quando si vuole e se lo si vuole. Essa è la condizione necessaria all’uomo interiore. «Il corpo, che vive grazie all’aria, la assume continuamente attraverso il respiro; l’anima, che vive per la grazia, allo stesso modo la attira in sé tramite la preghiera» (A. Troepol’skij). Ecco perché per molti maestri spirituali è un balsamo interiore. Giovanni Crisostomo la definisce come «il porto nella tempesta, l’àncora dei naufraghi, il bastone dei titubanti, il tesoro dei poveri […], rifugio nei mali, fonte di ardore, causa di gioia e maestra della filosofia».
COME FARE? È possibile, in questo contesto, dare solo alcuni spunti indirizzati alla preghiera personale e a quella familiare. Nel primo caso è importante scegliere una preghiera. Com’è importante usare le parole adatte quando ci si trova a tu per tu con una persona, allo stesso modo nel dialogo con Dio. Il primo passo dunque consiste nel trovare le parole che esprimano adeguatamente il nostro rapporto con Dio. Non sono i pensieri troppo elevati a qualificare il dialogo, ma quelli degni di noi, che possono essere offerti come realmente nostri. Non dimentichiamo che i salmi sono una fucina di parole che esprimono le diverse modulazioni dell’animo umano. Abbiamo inoltre preghiere che fanno parte della ricchezza liturgica di tutte le chiese, dalle quali possiamo attingere. La prima cosa pertanto che dobbiamo chiederci è: quali sono le «parole di preghiera» che ha senso per noi offrire a Dio. Possono essere preghiere scaturite da un orante che ci ha preceduto, oppure un versetto del salmo che ha illuminato un angolo oscuro della nostra esistenza. Poi dobbiamo usare questa preghiera nei momenti in cui è possibile raccoglierci nel silenzio interiore alla presenza del Signore. Diventano così le parole poste in bocca all’uomo interiore. Gradualmente accadrà che la consapevolezza della presenza del Signore in noi aumenterà, tanto che, ovunque ci si trovi, sul lavoro, in mezzo alla gente o da soli, saremo ancora in grado di pregare.
La seconda indicazione riguarda il coinvolgimento del corpo. Quando preghi non lasciare il tuo corpo alla porta. Non solo esso è tempio dello Spirito, ma Gesù stesso ha pregato con il corpo. La persona prega con tutto quello che è, dunque, anche con i gesti del corpo. Un grande uomo di spirito come frère Roger diceva: «non saprei come pregare senza il corpo. In certi periodi ho coscienza di pregare più con il corpo che con la mente». Il forte razionalismo che si è insinuato nell’esperienza spirituale ha messo in ombra la dimensione fisica del pregare, ma le grandi tradizioni monastiche ne hanno sempre stimato il ruolo.
Un’ultima indicazione riguarda la dimensione comunionale della preghiera, soprattutto quella familiare. Quella piccola chiesa domestica, che è la famiglia, rappresenta il luogo privilegiato per la pedagogia spirituale. I figli imparano a pregare non per ‘istruzione’, ma per ‘imitazione’. Guardando i loro genitori pregare si aprono al mistero, imparano ad affrontare i tempi della vita quotidiana con la fiducia nell’affidabilità di Dio. Entrando nella notte con il conforto della preghiera comprenderanno che, nonostante le tenebre, il cuore rimane nella pace. Chi ha ricevuto fin da piccolo questa evangelizzazione, così incisiva anche sulla sfera emotiva, entra nella vita carico di fiducia. È necessaria, anche in questo caso, una saggia concretezza. La casa diventa memoria di Dio anche grazie ad alcuni segni. Nella tradizione dell’Oriente cristiano ogni famiglia predispone il cosiddetto angolo della bellezza – con una semplice icona, una Bibbia aperta, un cero o dei fiori – per indicare che Dio è presente. L’Emmanuele ha posto la sua dimora in mezzo a noi.
A pregare s’impara. L’umiltà di chi si mette alla scuola della preghiera mostra la serietà della richiesta fatta dai discepoli e riecheggiante nel cuore di ogni uomo.
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