(Genesi 14,18-20 1ªCorinti 11,23-26 Luca 11b-17)
La festa odierna richiama la nostra attenzione sul mistero eucaristico. Chiediamoci da dove nasce la necessità di riflettere nuovamente sul dono del Corpo e Sangue del Signore, dopo averlo celebrato nel contesto del Triduo pasquale. Forse perché la quotidianità di questo mistero rischia di trasformarlo in routine. Forse perché una certa formazione catechetica ne sottolinea la componente intimistica, trasformandolo in un incontro ‘personale/sentimentale’ con il Cristo, da vivere nel silenzio e nell’adorazione. Tra tutti i sacramenti l’Eucaristia è certamente quello più frequentemente celebrato, perché il più necessario, ma, proprio per questo, il più a rischio, il più vittima dell’abitudine che logora il Mistero. Non è dunque per un desiderio di rievocazione storica del miracolo di Bolsena, che, ogni anno, celebriamo la solennità del Corpus Domini, ma perché abbiamo continuamente bisogno di concentrare la mente ed il cuore sul Mistero per eccellenza e per antonomasia.
È la parola di Dio che aiuta la Chiesa a scoprire e a ri-scoprire le mille sfaccettature di questo splendido ‘diamante’ eucaristico. E la nostra non può, non vuole, non deve essere una contemplazione avulsa dal vissuto, perché il motivo sostanziale per cui noi celebriamo il Mistero eucaristico sta nel fatto che desideriamo costruire una graduale conformazione a Cristo, componendo così il suo Corpo, che è la Chiesa, ed edificandolo. Una Chiesa che sia Eucaristia tanto quanto l’Eucaristia che celebra: questo è il fine del Sacramento eucaristico. L’Eucaristia è un mistero di rendimento di grazie. Lo svelarsi di questo tipo di Mistero, nella narrazione evangelica di oggi, è causato non solo da una oggettiva fame che attanaglia una folla sterminata, ma, ancor più, da una forma di grettezza dei discepoli, che ragionano in termini di puro assolvimento del dovere, in termini di «ministero a tempo», sancito da tabelle ‘sindacali’: scaduto il tempo, tutti a casa! Gesù, come sempre, coglie al volo la situazione e se ne serve per educare i discepoli, ancora lontani da una condivisione di mente e di cuore con i pensieri di Gesù e con l’amore di Gesù. Essi denotano sì la capacità di condividere le cose, ma non ancora il coraggio di condividere se stessi, mentre Gesù li porterà gradualmente al banchetto dell’ultima sera della sua vita, buttandoli a capofitto nel Mistero del donare se stessi sino all’effusione del sangue. E questo è l’unico e vero rendimento di grazie possibile per il dono della vita, di quella fisica e di quella spirituale, della vita dei figli, immeritatamente donataci e compresa come dono, solo nella misura in cui essa stessa diviene, a sua volta, dono.
Questo è il rendimento di grazie che si eleva nell’Eucaristia, per il dono che riceviamo e per il dono che diventiamo. Ogni Eucaristia ci ricorda e ci ammonisce che le cose che doniamo, se non comportano il dono di noi stessi, non sono donate, ma semplicemente poste in vetrina perché qualcuno ci elogi. In tal modo possono divenire la forma di più sottile egoismo, anziché di sincera e larga generosità. È solo il dono di se stessi che fa sgorgare dal cuore un ‘grazie’ immenso. È solo la carità, vissuta sui criteri di Dio, che diviene amore radicale e viscerale per i fratelli, nella certezza che ciò che doniamo è sempre poco, rispetto al molto che riceviamo in dono, quando abbiamo il coraggio di farci dono. È così che la moltiplicazione dei pani diventa possibile anche a noi e in noi.
La festa odierna richiama la nostra attenzione sul mistero eucaristico. Chiediamoci da dove nasce la necessità di riflettere nuovamente sul dono del Corpo e Sangue del Signore, dopo averlo celebrato nel contesto del Triduo pasquale. Forse perché la quotidianità di questo mistero rischia di trasformarlo in routine. Forse perché una certa formazione catechetica ne sottolinea la componente intimistica, trasformandolo in un incontro ‘personale/sentimentale’ con il Cristo, da vivere nel silenzio e nell’adorazione. Tra tutti i sacramenti l’Eucaristia è certamente quello più frequentemente celebrato, perché il più necessario, ma, proprio per questo, il più a rischio, il più vittima dell’abitudine che logora il Mistero. Non è dunque per un desiderio di rievocazione storica del miracolo di Bolsena, che, ogni anno, celebriamo la solennità del Corpus Domini, ma perché abbiamo continuamente bisogno di concentrare la mente ed il cuore sul Mistero per eccellenza e per antonomasia.
È la parola di Dio che aiuta la Chiesa a scoprire e a ri-scoprire le mille sfaccettature di questo splendido ‘diamante’ eucaristico. E la nostra non può, non vuole, non deve essere una contemplazione avulsa dal vissuto, perché il motivo sostanziale per cui noi celebriamo il Mistero eucaristico sta nel fatto che desideriamo costruire una graduale conformazione a Cristo, componendo così il suo Corpo, che è la Chiesa, ed edificandolo. Una Chiesa che sia Eucaristia tanto quanto l’Eucaristia che celebra: questo è il fine del Sacramento eucaristico. L’Eucaristia è un mistero di rendimento di grazie. Lo svelarsi di questo tipo di Mistero, nella narrazione evangelica di oggi, è causato non solo da una oggettiva fame che attanaglia una folla sterminata, ma, ancor più, da una forma di grettezza dei discepoli, che ragionano in termini di puro assolvimento del dovere, in termini di «ministero a tempo», sancito da tabelle ‘sindacali’: scaduto il tempo, tutti a casa! Gesù, come sempre, coglie al volo la situazione e se ne serve per educare i discepoli, ancora lontani da una condivisione di mente e di cuore con i pensieri di Gesù e con l’amore di Gesù. Essi denotano sì la capacità di condividere le cose, ma non ancora il coraggio di condividere se stessi, mentre Gesù li porterà gradualmente al banchetto dell’ultima sera della sua vita, buttandoli a capofitto nel Mistero del donare se stessi sino all’effusione del sangue. E questo è l’unico e vero rendimento di grazie possibile per il dono della vita, di quella fisica e di quella spirituale, della vita dei figli, immeritatamente donataci e compresa come dono, solo nella misura in cui essa stessa diviene, a sua volta, dono.
Questo è il rendimento di grazie che si eleva nell’Eucaristia, per il dono che riceviamo e per il dono che diventiamo. Ogni Eucaristia ci ricorda e ci ammonisce che le cose che doniamo, se non comportano il dono di noi stessi, non sono donate, ma semplicemente poste in vetrina perché qualcuno ci elogi. In tal modo possono divenire la forma di più sottile egoismo, anziché di sincera e larga generosità. È solo il dono di se stessi che fa sgorgare dal cuore un ‘grazie’ immenso. È solo la carità, vissuta sui criteri di Dio, che diviene amore radicale e viscerale per i fratelli, nella certezza che ciò che doniamo è sempre poco, rispetto al molto che riceviamo in dono, quando abbiamo il coraggio di farci dono. È così che la moltiplicazione dei pani diventa possibile anche a noi e in noi.
PREGHIERA
La proposta dei Dodici è semplice: lasciare ad ognuno il compito di trovarsi il cibo necessario. Del resto il loro ragionamento appare del tutto sensato: la folla è troppo numerosa ed il luogo è deserto. L’onere di dare nutrimento a così tante persone chi se lo può permettere? Tanto più che le risorse a disposizione sono veramente esigue: cinque pani e due pesci!
La logica umana, in effetti, non fa neppure una grinza: peccato che abbandoni tutti ai loro problemi e li induca a cercarsi una soluzione ciascuno per conto suo.
Ma tu sei venuto proprio a mostrare che il contrario è possibile: che Dio prende la vita di ognuno nelle sue mani forti e sicure e apre ad una speranza inaspettata. Tu vuoi che la folla abbia un segno della compassione e della bontà di Dio e scopra che c’è un pane che non si guadagna con il sudore della fronte. Sei tu quel Pane offerto e spezzato, donato e condiviso, che nutre e sostiene nel nostro pellegrinaggio.
La logica umana, in effetti, non fa neppure una grinza: peccato che abbandoni tutti ai loro problemi e li induca a cercarsi una soluzione ciascuno per conto suo.
Ma tu sei venuto proprio a mostrare che il contrario è possibile: che Dio prende la vita di ognuno nelle sue mani forti e sicure e apre ad una speranza inaspettata. Tu vuoi che la folla abbia un segno della compassione e della bontà di Dio e scopra che c’è un pane che non si guadagna con il sudore della fronte. Sei tu quel Pane offerto e spezzato, donato e condiviso, che nutre e sostiene nel nostro pellegrinaggio.
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