sabato 25 maggio 2013

490 - DIO SI FA CONOSCERE COME COMUNIONE DI AMORE - 26 Maggio 2013 – Santissima Trinità

(Proverbi 8,22-31 Romani 5,1-5 Giovanni 16,12-15)

Il mistero trinitario è la nostra identità ed esprime la nostra vocazione. In altri termini, nella Trinità c’è la ‘grammatica’, la chiave per interpretare e per impostare l’esistenza, per ripensare la vita sociale e le strutture in cui essa si organizza. La parola di Dio indica l’uomo nella sua finitezza, ed il suo mistero, come porta di accesso privilegiato al mistero di Dio.
Se rientriamo in noi stessi, infatti, ed abbiamo il coraggio di scendere nella caverna più nascosta della nostra anima, riusciamo a scoprire che nella nostra esistenza, pur deturpata dal peccato, vi sono ancora segni indelebili della sapienza e della bontà di Dio; riusciamo a scorgere ancora le vestigia di un amore che ci avvolge e ci accompagna, ci precede e ci segue, ci sovrasta e ci sostiene; possiamo ancora percepire quanto la fame e la sete di verità, di autenticità, di luce che rischiara e rasserena la vita, non sono altro che un frutto di quello Spirito, che la Verità la maneggia in modo ineguagliabile, tanto da condurre ad essa ogni uomo di buona volontà. Per comprendere e per gustare qualcosa di Dio e del suo mistero sarebbe sufficiente comprendere qualcosa in più dell’uomo e del suo mistero.
Come l’universo, stando a quanto ci dicono gli studiosi, contiene ancora l’eco del big bang iniziale, così il mondo creato reca in sé, nell’umanità e nelle culture che la caratterizzano, le tracce di quella Sapienza divina inesauribile che a tutto ha dato origine e senso. Una Sapienza che la Liturgia ancora invoca, il primo giorno della novena di Natale, con una delle mirabili antifone “O”: «O Sapienza, che sei uscita dalla bocca dell’Altissimo raggiungendo gli estremi confini del mondo e tutto disponi con soavità e forza, vieni ad insegnarci la via della prudenza».
L’amore di Dio, che il Figlio, Gesù, è venuto a rivelarci, non è un’astrazione, ma è sempre Redenzione, poiché realizza quella riconciliazione a 360° – impossibile alle forze umane –, che mette pace tra Dio e uomo, tra uomo e uomo, tra uomo e se stesso. Si tratta di una totalità e di una pienezza solo immaginabile, umanamente parlando, ma esperibile nella misura in cui la vita lascia spazio a questa irruzione di Dio. Quando l’umanità diventa casa accogliente e patria ospitale per l’Amore della Trinità, allora sperimenta la shalom …
Ma quanto siamo lontani, nel vissuto personale ed ecclesiale, da una tale qualità di rapporto! Al massimo sentiamo una affinità con Dio quando le cose della vita procedono secondo i nostri gusti, le nostre esigenze, la nostra volontà. Ma quando si tratta di mettere in conto la tribolazione, la croce, ci troviamo di fronte ad una vera e propria pietra di inciampo per la nostra fiducia nell’amore di Dio. Quanti hanno perso la fede a motivo di una difficoltà anche piccola. Eppure Paolo, nella seconda lettura di oggi, per parlarci di un itinerario di avvicinamento all’amore di Dio che redime qualsiasi dolore, parte proprio dalla situazione crocifiggente della tribolazione, causa di pazienza, causa, a sua volta, di discernimento, e da cui scaturisce, come da sorgente, la speranza. Non dimentichiamo che Cristo ha amato sempre e comunque e che, sulla Croce, ha toccato il vertice dell’Amore. Un itinerario arduo, quello tracciato dall’Apostolo, possibile solo a chi crede nell’Amore, a chi si fida dell’Amore e si affida all’Amore, facendo una speciale esperienza di Dio che, forse, nient’altro è in grado di incoraggiare fino a questo livello.
Parlare dello Spirito, Terza Persona della SS: Trinità, ed accorgersi dello Spirito, è forse la cosa più difficile nell’esperienza di fede. Se il Padre è riconoscibile nella storia della salvezza, ed il Figlio, narratoci dall’Evangelo, è Dio in carne ed ossa in mezzo a noi, lo Spirito appare quanto di più evanescente noi possiamo percepire. Eppure gli effetti ed i frutti dello Spirito sono talmente eclatanti che solo un cieco – o un non credente – sarebbe capace di ignorare. Egli è Colui che guida alla verità tutta intera – cioè a Dio e al suo Figlio Gesù Cristo –. Egli altri non è che il continuatore dell’opera di Gesù, perché lo sottrae alla contingenza di un tempo e di un luogo per renderlo contemporaneo a tutti i tempi, a tutti i luoghi, a tutte le persone. Egli è il testimone di Gesù, ed è Colui che prende le difese dei discepoli di Gesù. Egli è Colui che, non soltanto ne evoca la memoria, ma lo fa in modo performativo, così che quanto si proclama nella liturgia accade effettivamente, realmente e salvificamente. È così che il credente e la Chiesa entrano nel mistero di Dio e ne fanno indissolubilmente parte, rendendo persino inutile il raccontare il Mistero, perché basta viverne la Verità tutta intera.
 
PREGHIERA
Noi non possiamo entrare nel mistero d’amore che unisce te, Gesù, al Padre e allo Spirito, contando solamente sulla nostra intelligenza. La nostra ricerca è votata al fallimento e a terribili equivoci se non ci lasciamo guidare dalla tua Parola, se non accettiamo di passare attraverso il rapporto unico, l’esperienza profonda che ti lega al Padre, se non permettiamo allo Spirito di agire dentro di noi e di aprirci ad una comunione che trasforma questa nostra povera esistenza in un frammento di eternità.
Per questo ora vogliamo dar voce alla nostra gratitudine, esprimere la nostra gioia. Benedetto sei tu, o Cristo, Figlio di Dio venuto nella nostra carne per donarci una dignità sconosciuta e manifestarci quell’amore che libera e salva. Benedetto sei tu, o Padre, sorgente della vita e della misericordia, che ti sei legato per sempre all’umanità. E benedetto sei tu, o Spirito Santo, che continui a meravigliarci con le novità che provochi nella storia.

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