venerdì 17 maggio 2013

487 - IL FRUTTO PASQUALE DELLA PACE - 04 Maggio 2013 –VIª Domenica di Pasqua

(Atti 15,1-2.22-29 Apocalisse 21,10-14.22-23 Giovanni 14,23-29)

Lungo tutto il Vangelo di Giovanni, alcune parole vengono ripetute con insistenza. Il Vangelo di oggi presenta diversi di questi termini: amare, osservare, Parola, Spirito e vi appare anche un verbo che l’evangelista usa soltanto questa volta: ricordare. «Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che Io vi ho detto». Lo Spirito porta alla memoria la parola di Gesù. Il Vangelo di Giovanni approfitta degli ultimi momenti di Gesù per esortare alla memoria, non come rituale da ripetere, ma come risonanza di tutto quello che si è ascoltato; non come iniziativa dei discepoli, ma dello Spirito. Osservare e fare memoria sono termini che rimandano all’atteggiamento di vegliare affinché qualcosa non si perda. «Se uno mi ama, osserverà la mia Parola». «Se uno osserva la mia Parola, non vedrà mai la morte». Chi fa memoria, non vedrà mai la morte. Curiosa funzione della memoria! Di solito, quando qualcuno muore, diciamo che continua a vivere nella memoria dei suoi. Gesù amplia la funzione della memoria. «Se uno osserva la mia Parola, non vedrà mai la morte». Colui che ricorda la Parola vive nell’oggi, non nel passato. La memoria è esaltazione della vita nel presente. Ricordare la Parola è non morire. Di fronte all’esortazione di Gesù a far memoria, mosso dallo Spirito, non posso non leggere il testo a partire dalla mia realtà. Ci giunge in modo particolare questo mandato del Maestro, di far sì che la sua Parola non si perda. Quante volte abbiamo inteso l’osservare in senso contrario a quello voluto da Gesù. Poniamo tanti ostacoli alla Parola, fino al punto da renderla separata, arida per il popolo di Dio.
Il frutto pasquale della pace è il dono del Risorto agli apostoli, alla Chiesa e al mondo intero. Un fatto nuovo che attribuisce allo shalom una dignità insospettabile. Per dirla con don Tonino Bello, la pace che ciascuno di noi è chiamato a costruire per vocazione, è una pace D.O.C., a denominazione di origine controllata. Profumata di risurrezione, porta impressa le stimmate della croce, chiede sempre un tributo di sofferenza e di fatica con tutto il sovraccarico d’incomprensioni, derisioni, scetticismi.
Su un valore come quello della pace non si possono immaginare concessionarie esclusive. La pace ha valore di virtù teologale e va impetrata come dono. Il cammino da compiere, come comunità cristiane, è ancora lungo! Eppure Cristo non poteva essere più chiaro al riguardo: «Non come ve la dà il mondo…»; non con gli equilibri prudenti delle cancellerie diplomatiche, non generata come concessione benevola dell’ultimo feudatario del mondo globalizzato. La pace del Risorto non si limita a rimuovere i conflitti; la pace dono del Crocifisso-Risorto ha impressa la filigrana della non-violenza e del perdono che le conferiscono la certezza di essere autentica e duratura.

PREGHIERA
Quando veniamo invitati a scambiarci un segno di pace durante l’Eucaristia, forse non pensiamo abbastanza al gesto che stiamo compiendo. E forse la prendiamo per un’occasione destinata solamente ad esprimere e a rinsaldare i legami che ci uniscono.
Ma quale pace tu ci offri, Gesù? A quale pace facevi riferimento mentre stavi per affrontare la passione e la morte? Certo non una pace che trova origine in una generica disponibilità a mostrarsi benevoli e neppure in regole di galateo che assicurano rapporti rispettosi.
La tua pace, comunque, non ha niente a che fare con una buona dose di tranquillità, con l’assenza di problemi e di conflitti, e dunque con una serenità a poco prezzo. La tua pace viene proprio, paradossalmente, dal momento terribile a cui vai incontro, per amore. È col tuo sangue, infatti, che tu ci rigeneri ad un’esistenza nuova, ci liberi dall’odio e dal rancore, ci dai la gioia di essere amati e la forza di amare come te. È col tuo sangue prezioso che tu abbatti ogni barriera e ci doni la dignità dei figli di Dio.

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