lunedì 24 giugno 2013

495 - LA VIA VERSO LA VITA - 23 Giugno 2013 – XIIª Domenica del Tempo ordinario

(Zaccaria 12,10-11;13,1 Galati 3,26-29 Luca 9,18-24)

«Poi Gesù, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?”» (Luca 9, 23-25). Questa frase è stata interpretata in modi molto diversi, come richiamo all’ascesi, alla mortificazione, all’accettazione di umiliazioni spesso ingiustificate, ma presenti in ogni percorso umano. Talora è stata abusata per giustificare un atteggiamento passivo di fronte ad ingiustizie presenti in ambito civile ed ecclesiale. Nel tentativo di comprendere il testo, iniziamo ad analizzarne la struttura: si tratta di una condizionale in cui si prospetta la situazione di qualcuno che liberamente sceglie di seguire Colui che ha appena annunciato il suo destino di «Cristo di Dio», perseguitato, ucciso, risuscitato. Per seguirlo, il discepolo deve operare alcune scelte.

• La prima: «rinneghi se stesso». Il verbo, anche se talora indica apostasia, non ha di per sé una connotazione negativa. Indica la negazione di un dato o di uno stato precedente: se riferito ad un rapporto personale (in questo caso con se stessi), indica separazione. Si tratta dunque di quella che potremmo definire una presa di distanza da se stessi.

• Il secondo verbo prosegue sollecitando il discepolo a «prendere la sua croce ogni giorno». L’interpretazione del termine ‘croce’ ha assunto sfumature diverse: per qualcuno ricorda il ‘tau’ (Ez 9,4.6) posto come segno di protezione e sigillo di appartenenza sulla fronte dei fedeli (Ap 7,2). Nel linguaggio cristiano è divenuta segno dell’appartenenza a Cristo. Non penso dunque che in questo contesto indichi sofferenza accolta o autoinflitta, ma rappresenta il segno di un’appartenenza totale in cui la persona si gioca tutto. Il cambio di prospettiva implica una salvezza che non passa per la strada dell’affermazione di sé, della ricerca idolatrica della propria affermazione, ma nell’appartenenza al Messia crocifisso. La croce del Cristo di Dio diventa la ‘nostra’ croce, perché la scelta per lui è – e può essere – soltanto personale.

 • In questa luce il terzo imperativo «mi segua» indica distacco da se stesso e appartenenza a Cristo manifestato nella sequela. L’aggiunta di Luca «ogni giorno» sottolinea la perseveranza richiesta: non è una decisione presa una volta per tutte, ma è una scelta ripetuta istante dopo istante. Seguire Lui per divenire Lui, per fare dell’ ‘io’ del Cristo il proprio ‘io’. È quello che Paolo esprime in termini diversi: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più ‘io’ che vivo, ma il Cristo vive in me» (Gal 2,19-20). Ai discepoli non è dunque richiesto di ‘capire’, ma di ‘seguire’ il Cristo di Dio, un Messia crocifisso: i versi che seguono ne chiarificheranno la ragione.

 • Qui il discepolo mette in gioco la sua vita. Il termine tradotto con ‘vita’ è psychḗ, un termine greco che designa la parte dell’uomo che sopravvive alla morte, l’anima. Ma nel contesto semitico, dove non esiste distinzione tra corpo ed anima, indica l’esistenza concreta, la persona nella sua individualità. I due versetti si riferiscono dunque alla vita reale di una persona nel suo rapporto con il Cristo: «per causa mia». Salvare e perdere la vita indicano allora due opzioni: vivere in funzione di se stessi o vivere per Cristo, abbracciando la logica del Regno. L’opzione è tra la scelta di fare di se stessi lo scopo ultimo della propria esistenza, trasformando il sé in un idolo, o di offrire la propria vita come dono nella sequela del Messia, abbracciando la sua mentalità, i suoi valori, condividendo i suoi sentimenti e la sua passione per il Padre ed il fratello. È la migrazione da una vita chiusa in se stessi ad una aperta all’irruzione di Dio. Siamo dunque ben lontani dal distacco stoico dalla realtà, dall’ascesi fine a se stessa e auto-gratificante. Il testo indica che soltanto chi sceglierà di fare della propria vita un dono, di porre il Regno come ragione delle proprie scelte, scoprirà il significato ‘pieno’ della vita.

PREGHIERA
Sono in molti ad attendere il Messia, ma ognuno se lo raffigura a modo suo, illudendosi di pensare come Dio. Ecco perché, Gesù, tu non esiti, subito dopo la risposta di Pietro, ad evocare uno scenario imprevisto. Sognano la gloria e tu, invece, passerai attraverso l’umiliazione; pensano al potere, all’esibizione della forza, mentre vai incontro alla sofferenza; si immaginano un consenso strepitoso e tu, al contrario, verrai rifiutato, condannato dalle autorità religiose e dal rappresentante di Roma.
No, non sei decisamente il forte che scaccerà gli occupanti, il pio che restituirà il Tempio allo sfarzo dei tempi antichi e neppure il giudice implacabile che colpirà i malvagi.
Tu sei il servo, disposto a soffrire per la salvezza di tutti. Tu sei il Figlio, obbediente al Padre fino alla morte, e alla morte di croce. Tu sei il misericordioso, che perdona anche quelli che lo uccidono. Tu sei il povero, che si dona interamente, sicuro che Dio non lo abbandona. Così tu salverai il mondo: ecco perché ci proponi la tua stessa strada, percorso di morte e di risurrezione.

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