LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
(Isaia 58,7-10 1ªCorinti 2,1-5 Matteo 5,13-16)
Il tema che unifica la liturgia della Parola può essere individuato nella ‘luce’, intesa come simbolo della vita di fede, in ascolto della Parola che illumina e orienta ogni scelta e azione. Accogliere la luce che Dio ci offre è fare esperienza della sua presenza e della sua sollecitudine nei nostri confronti. Questa è già ora esperienza di salvezza, poiché la luce che ci viene da Dio dà unità e senso a ciò che facciamo, crea capacità di vivere la ‘carità’, mediante la quale possiamo essere “luce e sale” per il mondo e dalla quale nasce la speranza.
Ci orienta in questa direzione un prezioso testo del documento missionario del concilio Vaticano II (Ad Gentes): “Tutti sappiamo che il primo e principale loro (dei cristiani) dovere, in ordine alla diffusione della fede, è quello di vivere una vita profondamente cristiana. Infatti il loro fervore nel servizio di Dio e il loro amore verso gli altri immetteranno un soffio spirituale nuovo in tutta la Chiesa, che apparirà come ‘la bandiera levata sulle nazioni’, come ‘la luce del mondo’ e ‘il sale della terra’ “ (AG 36).
La vita cristiana come ‘segno’ per il mondo traduce visibilmente quella che chiamiamo la ‘sequela’ di Gesù. Non si tratta di una ‘imitazione’ passiva, quasi a volere essere copia del modello, cosa che per noi, esseri umani con tanti limiti, è impossibile. Si tratta invece di seguire lui e il suo ‘esempio’ in modo attivo e creativo, ognuno con la sua personalità e le sue esperienze, e così come ne diventa capace. Seguire il suo esempio vuol dire per noi lo sforzo per renderci ‘preziosi’ per gli altri così come lui è ‘prezioso’ per noi. Questa è la vera fede, e anche il valore della testimonianza: essere, a nostro modo, ‘segni’ di Cristo nel mondo.
Che fare per essere ‘luce’? Già a partire dal testo di Isaia, siamo rinviati ad opere precise, concrete, che chiamano in causa la nostra volontà buona, che si traducono in scelte attraverso le quali diamo visibilità alla nostra fede.
Attraverso di esse creiamo unità tra interiorità ed esteriorità dell’essere-chiesa: dare da mangiare a chi ha fame, accogliere chi non ha una casa dove trovare riparo, dare un vestito a chi è nudo, lavorare per togliere dai nostri contesti ogni forma di oppressione, non usare la parola per distruggere altri, non giudicare ingiustamente, e così via. Gesù usava l’espressione ‘regno di Dio’ per indicare la vita buona che la fede (con la conversione) avrebbe potuto favorire nel mondo: un mondo dove quale unico Signore regna Dio. La Parola di oggi ci apre un orizzonte di vita ‘profetica’, in alternativa alla vita pensata e vissuta secondo i criteri (sempre) correnti nel mondo. Vita profetica significa: stile di pensare e agire che può diventare ‘luce’ e ‘sale’, che può toglierci dall’individualismo del privato per una apertura ai bisogni altrui, che ci orienta a cercare una visibilità comunicativa di valori in alternativa alla visibilità secondo canoni televisivi.
La testimonianza ‘cristiana’, però, non consiste esclusivamente e non si esaurisce in un ‘fare’ esteriore: anzi, è testimonianza proprio perché e nella misura in cui rivela un ‘essere’, una dimensione interiore e profonda, alternativa al vuoto diffuso nel mondo. Il progetto cristiano, alla cui realizzazione possiamo contribuire, richiede una ‘saggezza/sapienza’ nuova, alternativa alla autoreferenzialità proposta e cercata dal mondo. E’ più comodo fare riferimento alle forme di saggezza umana sbandierate a molti livelli: teorie psicologiche, ideologie politiche, consigli su come essere sempre belli e giovani… Il progetto cristiano ci butta nel mondo con tutte le sue contraddizioni e ci chiede di dimostrare qui il nostro ‘equilibrio’ e la maturità umana che nasce dalla fede. Il Vangelo è la fonte dei nostri ‘valori’. Il Vangelo, però, non inteso come insieme di idee e norme, ma come relazione, come proposta di un cammino che ci rende capaci di ‘valorizzare’ tutto ciò che ci fa vivere ‘secondo Dio’.
(Isaia 58,7-10 1ªCorinti 2,1-5 Matteo 5,13-16)
Il tema che unifica la liturgia della Parola può essere individuato nella ‘luce’, intesa come simbolo della vita di fede, in ascolto della Parola che illumina e orienta ogni scelta e azione. Accogliere la luce che Dio ci offre è fare esperienza della sua presenza e della sua sollecitudine nei nostri confronti. Questa è già ora esperienza di salvezza, poiché la luce che ci viene da Dio dà unità e senso a ciò che facciamo, crea capacità di vivere la ‘carità’, mediante la quale possiamo essere “luce e sale” per il mondo e dalla quale nasce la speranza.
Ci orienta in questa direzione un prezioso testo del documento missionario del concilio Vaticano II (Ad Gentes): “Tutti sappiamo che il primo e principale loro (dei cristiani) dovere, in ordine alla diffusione della fede, è quello di vivere una vita profondamente cristiana. Infatti il loro fervore nel servizio di Dio e il loro amore verso gli altri immetteranno un soffio spirituale nuovo in tutta la Chiesa, che apparirà come ‘la bandiera levata sulle nazioni’, come ‘la luce del mondo’ e ‘il sale della terra’ “ (AG 36).
La vita cristiana come ‘segno’ per il mondo traduce visibilmente quella che chiamiamo la ‘sequela’ di Gesù. Non si tratta di una ‘imitazione’ passiva, quasi a volere essere copia del modello, cosa che per noi, esseri umani con tanti limiti, è impossibile. Si tratta invece di seguire lui e il suo ‘esempio’ in modo attivo e creativo, ognuno con la sua personalità e le sue esperienze, e così come ne diventa capace. Seguire il suo esempio vuol dire per noi lo sforzo per renderci ‘preziosi’ per gli altri così come lui è ‘prezioso’ per noi. Questa è la vera fede, e anche il valore della testimonianza: essere, a nostro modo, ‘segni’ di Cristo nel mondo.
Che fare per essere ‘luce’? Già a partire dal testo di Isaia, siamo rinviati ad opere precise, concrete, che chiamano in causa la nostra volontà buona, che si traducono in scelte attraverso le quali diamo visibilità alla nostra fede.
Attraverso di esse creiamo unità tra interiorità ed esteriorità dell’essere-chiesa: dare da mangiare a chi ha fame, accogliere chi non ha una casa dove trovare riparo, dare un vestito a chi è nudo, lavorare per togliere dai nostri contesti ogni forma di oppressione, non usare la parola per distruggere altri, non giudicare ingiustamente, e così via. Gesù usava l’espressione ‘regno di Dio’ per indicare la vita buona che la fede (con la conversione) avrebbe potuto favorire nel mondo: un mondo dove quale unico Signore regna Dio. La Parola di oggi ci apre un orizzonte di vita ‘profetica’, in alternativa alla vita pensata e vissuta secondo i criteri (sempre) correnti nel mondo. Vita profetica significa: stile di pensare e agire che può diventare ‘luce’ e ‘sale’, che può toglierci dall’individualismo del privato per una apertura ai bisogni altrui, che ci orienta a cercare una visibilità comunicativa di valori in alternativa alla visibilità secondo canoni televisivi.
La testimonianza ‘cristiana’, però, non consiste esclusivamente e non si esaurisce in un ‘fare’ esteriore: anzi, è testimonianza proprio perché e nella misura in cui rivela un ‘essere’, una dimensione interiore e profonda, alternativa al vuoto diffuso nel mondo. Il progetto cristiano, alla cui realizzazione possiamo contribuire, richiede una ‘saggezza/sapienza’ nuova, alternativa alla autoreferenzialità proposta e cercata dal mondo. E’ più comodo fare riferimento alle forme di saggezza umana sbandierate a molti livelli: teorie psicologiche, ideologie politiche, consigli su come essere sempre belli e giovani… Il progetto cristiano ci butta nel mondo con tutte le sue contraddizioni e ci chiede di dimostrare qui il nostro ‘equilibrio’ e la maturità umana che nasce dalla fede. Il Vangelo è la fonte dei nostri ‘valori’. Il Vangelo, però, non inteso come insieme di idee e norme, ma come relazione, come proposta di un cammino che ci rende capaci di ‘valorizzare’ tutto ciò che ci fa vivere ‘secondo Dio’.
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