martedì 15 febbraio 2011

137 - LA NOVITA’ DEL VANGELO - 13 FEBBRAIO 2011 – VIª Domenica tempo ordinario

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
(Siracide 15,15-20 1ªCorinti 2,6-10 Matteo 5,17-37)

Il discorso della montagna viene proposto oggi in un brano significativo che mostra la novità del vangelo rispetto alla legge antica. La novità consiste in una interiorizzazione della legge come orientamento di vita: non è l’esteriorità delle azioni, ma il cuore dell’uomo davanti a Dio che definisce l’autenticità della fede. In questo modo Gesù si presenta lui stesso come autentico interprete della volontà di Dio. Il suo insegnamento non è semplice ripetizione o commento, ma è parola di Dio detta con autorità.
Il ruolo del decalogo - Dio aveva trasmesso al popolo d’Israele, insieme con la promessa di una particolare protezione e benevolenza, un codice di norme morali, costituito principalmente da quei dieci comandamenti che costituiscono appunto ciò che chiamiamo “decalogo” e che per gli ebrei era “la legge” per eccellenza. Per il fatto di venire da Dio e di essere condizione della benevolenza divina nei loro confronti, questo codice morale godeva presso gli ebrei della più grande considerazione; essi vedevano nel decalogo non una forma di sudditanza nei confronti di Dio, ma un impagabile privilegio, degno della più grande considerazione. Violare quelle norme voleva dire disubbidire a Dio e sottrarsi colpevolmente al suo progetto di salvezza. La violazione di queste norme comportava perciò l’esclusione dal privilegio dell’appartenenza al “popolo eletto” e, in certi casi, esponeva alla pena capitale. Il popolo ebraico era fiero del privilegio di poter contare su una legge irrogata da Dio.
Un codice morale universale - Questa estensione, che era da sempre nel progetto di Dio, comportava naturalmente l’estensione del decalogo a tutti coloro che, di qualsiasi popolo fossero, avrebbero aderito al progetto di Dio, accogliendo il messaggio di Cristo e le sue promesse di pienezza di vita e di felicità in Dio. Per realizzare questo progetto divino di salvezza universale, occorreva naturalmente che Dio, attraverso la predicazione di Gesù, facesse del decalogo un codice morale rivolto non solo al mondo ebraico, ma a tutti i popoli della terra. Cadeva così definitivamente la comune concezione ebraica del fatto morale, che faceva del popolo ebraico il destinatario privilegiato ed esclusivo di un progetto di familiarità con Dio, che garantiva a questo popolo il privilegio di una protezione che faceva dell’ebraismo di quel tempo un mondo chiuso su se stesso, interdetto a chiunque non fosse ebreo o non accettasse di diventarlo. Gesù annuncia quindi, insieme a una salvezza offerta a tutti i popoli, un programma morale ugualmente valido e vincolante per tutti.
Un privilegio che responsabilizza - Non possiamo ignorare che la consapevolezza di questa universale chiamata alla fede in Cristo e a un vissuto morale ispirato al progetto salvifico di Dio non ha ancora raggiunto molti popoli della terra: e noi, che senza nostri meriti ne abbiamo ricevuto con grande chiarezza la conoscenza, dobbiamo anzitutto sentirci responsabili della trasmissione di questa conoscenza a tutti i popoli della terra che, senza colpa, ancora la ignorano. Abbiamo il dovere di fare del nostro meglio, perché il messaggio di Cristo arrivi a tutti i popoli della terra.
Questo non significa che dobbiamo tutti diventare dei predicatori di mestiere: la messa in guardia di Gesù ci chiede anzitutto di prendere sul serio il compito di attuare il progetto di Dio in noi stessi. Anche a noi Gesù ripete quello che diceva a molti ebrei del suo tempo: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”. Lo stesso decalogo, preso sul serio, rimanda a una giustizia e a una qualità morale più perfetta ancora di quella che molti cristiani ritengono sufficiente, per essere “a posto” con Dio.
Questa perfezione comporta per esempio che, dietro l’osservanza materiale delle norme, il credente edifichi dentro di sé l’edificio delle virtù, cioè quella stabile trasformazione del mondo del desiderio e delle abitudini, che comporta una assimilazione profonda dei valori difesi dalle norme.
D’altra parte, nella nostra realizzazione di una qualità morale all’altezza del privilegio cui la conoscenza del mistero di Cristo ci chiama, abbiamo da una parte l’aiuto della parola di Dio e della sua grazia, dall’altra l’insegnamento della Chiesa e l’aiuto dei santi che ci hanno preceduto in questo compito.
Questa realizzazione di una qualità morale all’altezza del vangelo sarà la prima e più importante forma di apostolato: i non credenti e i “poco-credenti”, così numerosi nel nostro mondo, per poter condividere la nostra fede hanno bisogno di noi, almeno nel senso che hanno bisogno di una catechesi e di un annuncio missionario del messaggio di Cristo, trasmesso con il vissuto più che con le parole: hanno bisogno che noi credenti siamo più credibili di quanto troppo spesso siamo.

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