martedì 2 luglio 2013

497 - LA FATICA DI SCEGLIERE: COSA SARÀ MAI “CHIAMATA”?- 30 Giugno 2013 – XIIIª Domenica del Tempo ordinario

(1ºRe 19,16B.19-21 Galati 5,1.13-18 Luca 9,51-62)

Due elementi caratterizzano la vita nel tempo dell’abbondanza: il desiderio di indipendenza, di autosufficienza e, conseguentemente, l’autoreferenzialità, l’individualismo che considera la persona preziosa in sé e non in relazione all’altro. Da qui derivano molte delle situazioni che ci mettono sovente in difficoltà: • il fascino dell’efficienza accresciuto dallo sviluppo tecnologico sempre più sofisticato; • la pigrizia nell’approfondimento della conoscenza, che ci fa usare delle cose senza scoprire e valorizzare la logica più interiore che sta dietro la facciata di ogni realtà; • la velocità nel cambiamento degli scenari, che accresce il senso dell’onnipotenza e rende difficoltosa la memoria attenuando il valore dell’esperienza personale; • la difficoltà nell’accreditare la testimonianza altrui e nel medesimo tempo l’ingenuità di entrare senza il filtro dell’esperienza nel castello fatato dei maghi della pubblicità; • la partigianeria accentuata dal desiderio di affermazione e dalla sottovalutazione del diverso da noi; • la paura del definitivo, del “sì” senza ritorno. È ciò che sovente provoca il fallimento del patto matrimoniale e mina le vocazioni più forti, destinate a cambiare il corso della vita; • il prolungamento indefinito del tempo dell’adolescenza, che si spinge fino alla giovinezza inoltrata e addirittura al tempo della maturità, sempre più ritardato; • il bisogno di sicurezza, di essere coperti alle spalle; ed ecco i figli che non lasciano la casa paterna pur prendendosi le libertà e le autonomie che li pongono in contrasto di ideali verso i genitori. Si valorizza la casa come luogo di rifugio e nel medesimo tempo non si vuole rivestire “l’abito” della casa (con i conflitti ormai classici: «Questa casa non è un albergo!»).
La fatica di scegliere, nella società dei consumi, si è fatta improba. Fatica di scegliere e anche fatica vocazionale: sia esistenziale che professionale. Si entra nella vita non dalla porta di servizio, dove ci attendono gli abiti da lavoro, il grembiule e un maestro che ci insegna l’arte di comporre le tessere del mosaico “esistenza umana”. Si pretende di entrare dalla porta principale (o meglio, gli adulti pretendono di fare entrare i figli da tale porta), aperta a tutti e spalancata, dove i servitori attendono e la tavola è sempre imbandita.
Il regno della libertà è sovente abitato da persone con gli occhiali dalle lenti deformanti. Si cerca una libertà intesa come “non scelta” e conseguentemente come “non vincolo”. La libertà non è ‘indifferenza’. La libertà più vera non è quella che ci libera dagli altri o dalle cose, ma da noi stessi.
In questo contesto risuona l’appello evangelico di Gesù: «vieni e seguimi». L’atteggiamento di Cristo che chiama è: • di rispetto totale della persona nel fare la proposta e nell’attendere risposta; • di pazienza perché la maturazione ha bisogno del suo tempo; • di rispetto anche per i ‘resti’ («Raccogliete i pezzi avanzati», «Non spegnete il lucignolo fumigante»); • di superamento delle barriere e delle differenze: chiamata rivolta a tutti, raccolta degli invitati tra i poveri “della strada”; • di superamento dei pregiudizi (Gesù tocca ammalati e impuri); • di tenacia nel perseguire la salvezza di tutti (in cerca della “pecorella smarrita”).

La risposta è differente: • ci sono persone in attesa di un messia che assecondi il loro desiderio di salvezza, ma che hanno già bene in mente quale salvezza debba essere; • altri sono liberi da precomprensioni e attendono il Messia come il Cielo lo invierà; sono disposti a leggere i segni dei tempi come i re magi, come i pastori, come Maria nel tempo dell’incarnazione, come i lebbrosi, il centurione, le donne accanto a Gesù nella vita pubblica, come gli apostoli risanati nello Spirito, i discepoli di ogni parte del mondo conosciuto nel tempo della Chiesa; • ci sono minoranze di integralisti che intendono la chiamata come un arruolamento militare, ‘talebano’, e si incaricano della salvezza del mondo facendo saltare le cervella al prossimo; • ci sono testimoni tiepidi in gran quantità, mossi dall’emozione appena sentono la voce che chiama, ma distratti ed in altre cose affaccendati, continuamente rivolti a guardare indietro; • ci sono testimoni coraggiosi, disposti a giocare la vita in una battaglia di risonanza pubblica con il rischio di subire il fascino del potere e di scambiare il coraggio con il desiderio di successo; • c’è poi l’esercito dei senza nome che accettano la vita come un dono e una responsabilità, che seguono il Signore in silenzio, talvolta senza distinguerne chiaramente la voce.

Un tempo i catechisti per indicare le possibilità di risposta alla chiamata del Signore dicevano: «Ci sono due vie: una stretta e scoscesa che sale verso il paradiso; una larga, comoda e lastricata che conduce, scendendo, all’inferno». Oggi la strada larga e lastricata, anziché essere quella del vizio e del peccato, rischia di essere quella dell’indifferenza, della non passione e della non identità. Forse non condurrà diritta all’inferno perché al Signore sta più a cuore la nostra vita di quanto non stia a cuore a noi stessi. Tra la morta gora dell’indifferenza e del qualunquismo e il muro dell’integralismo passa la via della responsabilità assunta con pazienza e tenacia, senza pretese di verità possedute o di chiavi messe in tasca (i ‘maestri’ d’Israele chiudevano la porta e ne nascondevano la chiave), umile e gioiosa, aperta al futuro e serena nelle sue memorie. Questa è la via del Regno, che ci indica il Signore Gesù quando chiama e dice: «Chi vuole essere il mio discepolo prenda la sua croce e mi segua», «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi», «Se il seme caduto a terra non muore non porta frutto».

PREGHIERA
Il tuo percorso, Gesù, è giunto ad una svolta decisiva: tu vai verso Gerusalemme perché è lì che la tua missione trova il suo compimento, è lì che avverrà quel passaggio doloroso che sfocerà nella risurrezione e nella gloria.
Sarai giudicato e condannato, inchiodato ad una croce come un ribelle, un malfattore, ma il tuo sangue salverà l’umanità e costituirà il sigillo indelebile per un’alleanza nuova ed eterna tra Dio e tutte le sue creature.
Ti dirigi verso Gerusalemme, risoluto e fiducioso, anche se sai che ti attendono la sofferenza e la morte. Sei disarmato e privo di appoggi: non hai più un villaggio, non hai una casa tua, non hai persone votate alla tua incolumità, alla tua difesa. Conti solamente sull’amore del Padre che ti ha mandato, sulla presenza dello Spirito che non viene meno. Ecco perché chiedi a chi ti vuol seguire la tua stessa risolutezza, la tua stessa fiducia, la tua stessa povertà, nel vivere un distacco che è solo l’inizio di un cammino di sacrificio e di offerta.

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